lunedì 12 luglio 2010

strani giorni


Ci sono un po' di cose che non capisco, di quelle che starei studiando.
In questi giorni ho conosciuto una ventina di microimprenditori. La maggior parte di essi lavora in un cosiddetto kiosco: un micronegozietto, un minibazar, un alimentari, una specie di pakistano per capirsi. A volte questo kiosco è un vero e proprio negozio, con scaffali, reparto macelleria e tutto, altre volte è ricavato da una stanza della casa del commerciante, altre si tratta di uno spazio antistante la casa magari coperto da un tetto.
I microimprenditori usano il microprestito per fare microinvestimenti per il loro negozio, comprano merce da rivendere, ampliano il loro business praticamente. Tutti quelli che ho intervistato fino ad ora si dicono soddisfattissimi della loro esperienza, mi raccontano che la loro vita è cambiata in meglio ma non vogliono mai entrare in dettaglio. Alcuni mi raccontano che hanno cambiato la scuola dei loro figli e da una pubblica vanno a una privata. Mi dicono che possono comprarsi più cose, mangiare di più e meglio.
Allora, la prima cosa che non capisco è come fanno a campare, dal momento in cui nel giro di una cuadra (un isolato per capirci) possono coesistere tranquillamente 5 o 6 kioschi che vendono più o meno le stesse cose. Una di loro mi ha detto che sono molto solidali tra di loro, non si fanno concorrenza, si spartiscono i clienti e a volte vendono cose diverse. Altri però mi dicono che sanno che qualcuno li invidia e sparlano di chi riesce a migliorare le proprie condizioni di vita.
Resta il fatto che non riesco a capire come riescano a vendere così tanta roba a così tanta gente per riuscire a ripagare il debito, seppur piccolo. Perchè in sostanza le cose che vendono sono pasta, biscotti, tante bibite, dolci, ovviamente mate e mandioca, verdura pochissima, insomma, alcuni non vendono nemmeno la carne che da quanto ho capito fa parte dei pasti di ogni giorno perchè meno cara della verdura.
In poche parole vendono stronzate. Mi chiedo quindi da cosa siano composti i pasti di queste famiglie. Cosa mangino i bambini, con cosa facciano colazione. Le persone che vivono nel barrio non muoiono di fame, chi non lavora vive del sussidio statale. Il cibo nei kioschi non è economico. Chi vive qua mi dice di sì ma a me non sembra. Un pacco di riso e pasta può arrivare a costare un euro o poco più, un chorizo sempre un euro, un peperone rosso idem. Voglio dire zonta de qua e zonta de à va a finire che na spesa completa costa come in Italia, più o meno.
C'è un passaggio che mi manca. Lo stipendio minimo qui è di 200 euro e le famiglie son composte come minimo da 4 persone, di solito una madre e uno stuolo di figli dalle più disparate età.
COSA MANGIANO?COME MANGIANO? L'80% delle persone che vive nel barrio è evidentemente in sovrappeso, i bambini hanno la pancia e le donne sono sformate. Qui la gente mangia tanto e male. Perchè mangiano così?Non vorrei che questi quesiti apparissero più superflui di quello che sono, ma mi sembra che mentre da una parte si da la possibilità a queste persone di avere un commercio proprio e di uscire dal vincolo della povertà e della dipendenza dallo stato, dall'altra li si prende per la collottola e li si getta nel baratro del consumismo e della dipendenza dalle stronzate.
Non ho paura a camminare per il barrio da sola. Non porto mai soldi con me, il mio cellulare qui è inutile e il mio lettore mp3 in confronto a quello che potrebbe avere il mio possibile attentatore non vale un soldo di cacio. Molti dei tetti baracchette di legno sono sovrastati da enormi paraboliche e durante tutto il giorno, dalla mattina alla sera, potentissimi impianti stereo grandi come scania riversano in strada le fastidiosissime melodie tipiche del posto, ossia reggaeton e cumbia a tutta manetta. Ragazzetti di tutte le età deambulano per le strade magari senza scarpe ma con un cellulare a raggi fotonici che irradiano, ovviamente, musica tipo reggaeton e cumbia a tutta manetta.
Non capisco.
Molti giovani hanno problemi di alcolismo in precocissima età ma, su esplicita dichiarazione dei proprietari dei kioschi, si sa che i guadagni più sostanziosi si fanno il fine settimana con le bibite, perchè la gente si sfonda di birra e cocacola.
Mors tua vita mea?
Questo fine settimana ho superato una delle mie più grandi paure kaiakando placida sulle acque del rio paranà.
Credo sia stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Io e due dei tre francesi, l'hombre e l'hombrecito (il francese 37enne che per capirci è uno di quegli omuncoli che va in giro in polo dalle tonalità beige cacchetta a verde merdaccia, risvolto sui jeans e sto aspettando che sfoderi un marsupio in acetato – uno spasso d'uomo) ci siamo concessi un giorno da turisti e siamo andati a vedere le rovine gesuitiche di san Ignacio Minì, che si trova a circa un'ora di strada da Posadas. Non è rimasto molto delle costruzioni originali ma ciò che si può ancora vedere è impressionante. I resti della chiesa sono imponenti e rendono l'idea dell'impegno che i compagni di merende di Gesù ci mettevano per inculcare il verbo nelle testoline nere dei guaranì.
Al pomeriggio poi siamo andati a fare un'escursione in kaiak lungo il rio Paranà e come dicevo prima è stata una delle cose più fighe che abbia fatto in vita mia.
In verità prima di salire in barchetta mi stavo un po' cagando in mano perchè il rio non è che sia esattamente un fossato ed è notoria la mia fobia per l'acqua e per i fondali che non si vedono.
Invece dopo il primo quarto d'ora di terrore sono riuscita a rilassarmi, forse anche grazie al fatto che sono salita in barca con la guida e che praticamente ho fatto finta di remare per tutto il tempo.
La guida era un personaggio: Nelson, un ragazzotto biondo in bermuda e sandali da tettesko (tipo me) che assomigliava tantissimo a quel demente australiano che faceva i documentari in cui catturava a mani nude tutti i tipi di animali più pericolosi, che ha messo la testa del figlio dentro la bocca di un coccodrillo e che poi è morto colpito a morte da una manta (o da una razza non ho mai capito) e così ha finito di rompere i coglioni e flora e fauna dell'emisfero australe. Insomma sto Nelson era una sagoma ed è stato estremamente galante perché non ha fatto commento alcuno sul fatto che nonostante mi affannassi a gettare il remo a destra e a manca non riuscivo a spostare un cm cubo d'acqua e praticamente remava solo lui. Mi ha raccontato che ha comprato un appezzamento di terra da regalare agli aborigeni perchè si costruissero una casa come dio comanda. Effettivamente durante il tragitto in jeep per arrivare al fiume siamo passati davanti a diverse baracche in stile miseria e in questa zona ci abitano proprio gli indios, non solo i morochos.
Mi sono sentita un po' a disagio per questo.
Il Paranà divide l'Argentina dal Paraguay. Quando ci siamo resi conto di questo i due hombres si son messi a remare come dannati per raggiungere la sponda paraguaya (non ci sono controlli) ma il loro entusiasmo è stato smorzato dal richiamo del nostro amico Nelson. In pratica le sponde del versante paraguayo sono terriotorio di contrabbandieri e di coltivazione di mariuana. C'era un 4x4 sulla sponda e secondo l'hombrecito era sicuramente il 4x4 di un contrabbandiere.
Volete sapere che pesci ci sono nel Paranà? Ci sono pesci commestibili dal nome impossibile da ricordare tipo tarabà iruquì etceterà, poi ci sono i caimani e ATTENZIONE anche i piraña.
La prospettiva che uno ha quando si trova in mezzo al fiume è spettacolare: attorno c'è una vegetazione fittissima e selvaggissima, alti costoni di terra rossa e corvi grossi come mucche. Il cielo era azzurrissimo e non so perchè ma avevo come l'impressione che fosse più grande di quello che sono abituata a vedere. E silenzio, tanto silenzio, perfino gli animali stavano zitti.
Dopo la gita in barca siamo andati a fare una passeggiata in mezzo alla selva accompagnati dal padre di Nelson che pensate un po', si chiamava Nelson pure lui. Sto vecchino aveva l'agilità di uno stramaledetto stambecco ed era quasi impossibile stargli dietro. Nelson Senior sapeva un sacco di aneddoti sui nazisti scappati in Argentina e sugli ebrei che gli davano la caccia, ci ha raccontato anche un sacco di storie sulle navi che partivano dall'Europa cariche di immigrati italiani polacchi ucraini francesi e tedeschi. Lui aveva un po' tutte queste origini. Ci ha portati anche a vedere la casa di Martin Borman, una vecchia volpe tetteska che per scappare dagli ebrei un po' incazzati si era rifugiato in mezzo alla selva e si era costruito una casa di pietra. Poi è riuscito a scappare e non si sa dove sia.
Durante il cammino abbiamo incontrato una grassona demente che con tutto ciò che poteva commentare circa l'episodio di Borman è riuscita a dire che questo pover uomo deve aver fatto proprio una vita triste, tutto solo in mezzo alla jungla senza nessuno con cui fare due chiacchiere.
Alla sera dopo l'escursione siamo tornati alle rovine per vedere uno spettacolo di luci suoni e ologrammi che raccontava la storia delle missioni gesuitiche. Carino, in pieno plan turistico però è stato emozionante entrare nelle rovine di notte, il cielo era limpidissimo e si vedevano un sacco di stelle.
La giornata da turista è stata come una boccata d'aria fresca. Da due settimane praticamente non uscivo dal barrio e cominciavo ad aver voglia di vedere qualcosa di diverso. Avevo,anzi avevamo, anche un po' voglia di staccare, perchè per quanto consci del fatto che stiamo vivendo probabilmente l'esperienza più allucinante della nostra vita, facciamo fatica ad abituare le nostre retine alle scene di ordinaria follia a cui assistiamo praticamente ogni giorno.

1 commento: