giovedì 19 novembre 2009

mente materia e qualità

oggi ho finito di leggere un libro molto bello che si chiama "lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta".
quando ho finito di leggerlo ho un po' pianto.
questo libro me l'ha consigliato molto tempo fa martiros, ma non l'ho mai letto, semplicemente per fargli un dispetto.
ho pianto perchè questo libro parla, oltre che della follia di Fedro (che altri non è che il protagonista del viaggio e l'autore stesso), di un lungo viaggio in moto di un padre con il figlio.
potrei fermarmi qui.

mi sento come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato le tempie. non so,sarà che mi faccio commuovere e coinvolgere da tutto in questo periodo, però quasi tutti i temi affrontati in questo libro sono argomenti che da un po' di tempo anche io ho dovuto mettere in discussione.
per esempio, la follia. il disadattamento, la scissione, la percezione distorta o tremendamente lucida della realtà. io credo di essere pazza. sì lo credo. credo che lo sia mio papà. credo che lo sia diventata mia mamma e soprattutto credo che siano tutti pazzi quelli che mi stanno attorno.
ci ho messo più o meno un anno a rendermi conto della mia follia. quando mi sono resa conto che avrebbe inevitabilmente fatto parte di me per sempre, mi sono commossa e mi sono vista da fuori quasi con tenerezza. ero quasi contenta.
ora come ora la follia che più mi preoccupa è quella di mia madre, che è sopraggiunta. dico questo perchè bene o male con la pazzia di mio padre ci abbiamo sempre convissuto.
ora mia mamma forse è matta, non lo sappiamo ancora. non parla, ha problemi di memoria e vuole fare cose che non sempre hanno senso. per esempio domenica ha voluto prendere due bustine di tè e se le è messe nella tasca della giacca a vento prima di tornare in ospedale. mah.
mi fa male pensare che forse dovrò convivere per sempre con la follia di mia madre. è sempre stata l'unico punto fermo della mia vita. so che è una considerazione banale, ma quando si giunge al punto di considerare sè stessi e tutte le persone che ci circodano dei pazzi, almeno l'idea di poter contare su un paio di persone quasi sane di mente, tra cui la mamma, è un' ancora di salvezza.
ora non ho più neppure quella certezza.
ho paura, e scioccamente il mio timore più grande è ora quello di diventare mamma senza la mia mamma. non è un progetto imminente, ma credo che prima o poi succederà, e quando non saprò a chi chiedere come fare a far star zitto un poppante che strilla avrò paura. sì, avrò paura di commettere una pazzia, perchè sono pazza e lo sarò per sempre.
questo libro poi, ovviamente, parla della motocicletta e del viaggio in moto. parla di un viaggio in moto tra un papà e un figlio.
anche io ho fatto un viaggio in moto con mio papà, quando avevo 13 anni. credo sia più o meno l'età del figlio del protagonista, non è specificato nel testo oppure non me lo ricordo.
siamo andati a salisburgo, che si diceva fosse la seconda patria della laverda e credevamo che gli abitanti di salisburgo (salisburghesi?) ci avrebbero riservato un trattamento specialissimo. e invece niente. durante questo viaggio ci hanno accompagnato i miei zii, che sono stati indubbiamente un elemento di disturbo. più o meno come lo sono i sutherland nel libro.
andare via in moto assieme è sempre stata l'unica attività che ci facesse interagire in maniera serena. ed io ho anche sempre saputo perchè: in moto non si parla.
la richiesta di un giro in moto e l'accettazione o meno da parte di mio papà è sempre stata la cartina di tornasole del nostro rapporto: se mi avesse risposto di sì, voleva dire che in quel periodo si andava d'accordo e lo si sarebbe andato ancora per un bel po', perchè i viaggi in moto sono sempre stati terapeutici per entrambi, come individui e come parenti. se mi rispondeva di no, poteva essere per tre motivi:

a)era davvero molto stanco
b)la moto non funzionava
c)era incazzato con me

l'opzione c ovviamente mi mandava in bestia, ma questo è niente. la mia collera raggiungeva livelli inenarrabili in una sola circostanza: mio papà andava in giro in moto senza di me. ecco, questa era una punizione per qualcosa che avevo fatto. ma non si trattava di una punizione per una stronzata tipo tornare a casa tardi. no, era qualcosa di più profondo, qualcosa che lo feriva nell'anima ma di cui non poteva parlare, per quieto vivere (che poi quieto vivere...), per convenzione, per non so che cazzo di motivo. questo succedeva per esempio quando avevo il moroso. succedeva spesso. non succedeva spesso che avessi il moroso, ma succedeva sovente quando ce l'ho avuto per più o meno due anni.
adesso invece succede perchè non abito più a casa, perchè ho fatto dei lavori che non gli sono piaciuti e perchè sono in ritardo con gli studi. il fatto è che lo fa in maniera subdola!
per esempio, quando lavoravo in struttura avevo i turni e non riuscivo a tornare a casa tutti i fine settimana. quando però tornavo sabato e domenica molto spesso non uscivo la sera, apposta per stare con i miei. ci tengo a sottolineare questo fatto per rendere ben chiara la mia intenzione di tornare dall'altro lato del po proprio per stare con i miei. bene, è successo parecchie volte che io mi svegliassi la domenica mattina e sentissi il borbottare della laverda che tornava da un giro. il rombo della moto di mio papà si sente fin da quando è in centro al paese. con la testa sul cuscino pensavo "no, ancora no, non può averlo fatto di nuovo". allora tendevo l'orecchio, sentivo la catena del cortile dietro al palazzo dove vivo cadere per terra, e poi sentivo gli ultimi 20, 25 "toh toh toh toh" tipici del motore tricilindrico, prima che mio papà la spegnesse,non in garage,ovviamente,ma sotto la mia finestra, cosicchè sarebbe stata la prima cosa che avrei visto quando avessi aperto la finestra.
durante il pranzo si scatenava il dramma, ma il più delle volte potevo contare sull'appoggio sia di mia mamma che di mio fratello. non ha mai dichiarato il motivo del perchè mi riservasse quegli sfregi, si limitava a giustificarsi con risposte vaghe del tipo "ma sono obbligato a portarti via sempre?" oppure "basta, non è più il caso" o anche "è che adesso ho paura". stronzate.
una volta mio papà la voleva vendere a un tipo assurdo di forlì che colleziona laverda. è un tipo fuori di testa che abbiamo spesso incontrato ai motoraduni.
il giorno prima che il tipo venisse a prendersela ha dovuto chiamarlo per disdire la vendita. avevo smesso di mangiare e piangevo a dirotto da un giorno intero.
poi una volta ho dovuto scrivere a motosprint per convincerlo a portarmi via con lui ogni tanto. siccome ho ricevuto centinaia di mail di personaggi che si proponevano come morosi per portarmi via con loro, mio papà ha fatto il duro per un po' ma poi ha ceduto
non so se si sia tenuto quella copia come ricordo.
ora mio papà non la usa più tanto. dice che è diventata pesante (sarà ingrassata) e che fa fatica a portarla.
poi adesso figuriamoci, è in lutto, e proprio oggi che l'ha voluta usare per andare a venezia ha trovato lo sciopero dei metalmeccanici sul ponte della libertà e l'ha dovuta spingere per tutto il ponte perchè non lo lasciavano passare.

nell'ultima parte del libro, padre e figlio protagonisti hanno l'ennesimo diverbio per un motivo che non esiste apparentemente.
quando finalmente i due si chiariscono una volta per tutte e sembra essere tornata la calma, si rimettono in viaggio, senza casco perchè fa molto caldo. il ragazzino si sente sicuro di sè e si alza in piedi sui pedalini, così riesce a vedere oltre le spalle di suo papà. fino a quel punto, lui non aveva visto niente altro che la schiena di suo padre che guidava, limitandosi a lanciare qualche sguardo ogni tanto, a destra e a sinistra e manifestando sempre poco entusiasmo per le cose che lui gli indicava di guardare.
poi il ragazzino inizia a pretendere di vedere oltre, di vedere di più,e di questo se ne rende conto anche suo papà.
ecco, questa è una cosa che rimpiango di non aver fatto mai. quando siamo andati a salisburgo forse ero troppo piccola per farlo, ma forse no. non ho mai avuto il coraggio di alzarmi in piedi di vedere le cose dalla prospettiva del pilota. ho sempre preferito stare chiusa dentro al casco a pensare, a guardare il riflesso del mio naso sulla visiera e al limite, guardare a destra e a sinistra.
non credo sia troppo tardi per farlo, anche se in moto con mio papà non ci vado da un bel po', ma ho capito che devo farlo e lo sto facendo.
ecco,forse è per quello che mio papà non mi porta più via con lui.


poi, un altro dei tanti argomenti trattati nel libro, è quello della chiesa della ragione. ossia, l'università.
adesso è tardi e devo andare a leggere la postfazione del libro che non ho ancora letto, però ci tenevo a dire che la concezione di università mia e di fedro (l'alter ego impazzito del protagonista) è praticamente indentica. e questo brano è una delle dimostrazioni di ciò:

la chiesa della ragione, come tutte le istituzioni del sistema, non è basata sulla forza del singolo quanto sulla sua debolezza. solo agli incapaci si può insegnare bene. gli altri sono sempre una minaccia. ma per fedro la qualità la si vede meglio sulle montagne, là oltre il limite dei boschi, e non qui, dove le finestre sporche e gli oceani di parole la offuscano. si rende conto che qui questo non verrà mai accettato: per capirlo bisogna essere liberi dall'autorità, e questa è un'istituzione autoritaria. per le pecore la qualità è quello che dice il pastore, e se una notte col vento che infuria, ne lasci una oltre il limite dei boschi lei si spaventerà a morte e belerà e belerà finchè non arriverà il pastore, o il lupo.
alla lezione successiva fedro tenta per l'ultima volta di comportarsi bene, ma il direttore non ne vuol sapere. fedro gli chiede di spiegargli un particolare, dicendo che non è riuscito a capirlo, non è vero, ma fedro pensa che un po' di deferenza non guasta.
la risposta è: "forse lei è stanco"", detta col tono più mordace possibile - ma non morde. il direttore sta semplicemente condannano in fedro ciò che più teme in se stesso. la lezione prosegue e fedro guarda fuori dalla finestra; gli dispiace per questo vecchio pastore e per le pecore e i cani del suo corso, e gli dispiace per se stesso: non sarà mai uno di loro. quando suona la campanella esce per l'ultima volta.



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martedì 10 novembre 2009

Quella sera scrisse la lezione sulla Chiesa della Ragione, che a differenza dei suoi soliti appunti sbrigativi era molto lunga e sviluppata con grande cura.
Citava, per cominciare, l'articolo di un giornale a proposito della facciata di una chiesa di campagna cui era stata affissa l'insegna luminosa di una marca di birra. L'edificio era stato venduto ed era stato trasformato in un bar. Qualcuno si era lamentato con le autorità ecclesiastiche, e il prete incaricato di rispondere alle critiche si era mostrato piuttosto irritato. Ai suoi occhi, l'episodio rivelava quanto fosse grande l'ignoranza a proposito di cosa fosse veramente una chiesa. S'immaginavano forse i fedeli che una chiesa consistesse in assi, mattoni e vetrate? Sotto le spoglie della devozione si celava qui un esempio di quel materialismo che la Chiesa combatte tanto. L'edificio era stato sconsacrato e quindi il problema non sussisteva.
Fedro disse che la stessa confusione esisteva a proposito dell' Università. L'Università vera non è un oggetto materiale. Non è un insieme di edifici che può essere difeso dalla polizia. Fedro spiegò che quando un College perde il riconoscimento accademico nessuno viene a chiudere la scuola, non ci sono sanzioni legali ne' multe, ne' condanne. Le lezioni non s'interrompono. Tutto continua esattamente come prima. La vera Università si limiterebbe a dichiarare che questo posto non è più "consacrato". La vera Università svanirebbe da quel luogo, lasciandosi dietro soltanto libri e mattoni: la sua mera manifestazione materiale.
Questi concetti dovettero risultare piuttosto strani agli studenti, e immagino che Fedro abbia dovuto aspettare a lungo che le sue idee facessero presa, per poi dover aspettare ancora prima che gli chiedessero: "Cosa pensa che sia la vera Università?".
I suoi appunti rispondono alla domanda così:

La vera Università non ha un'ubicazione specifica. Non ha possedimenti, non paga stipendi e non riceve contributi materiali. La vera Università è una condizione mentale. E' quella grande eredità del pensiero razionale che ci è stata tramandata attraverso i secoli e che non esiste in alcun luogo specifico; viene rinnovata attraverso i secoli da un corpo di adepti tradizionalmente insigniti del titolo di professori, ma nemmeno questo titolo di fa parte della vera Università. Essa è il corpo della ragione stessa che si perpetua.
Oltre a questa condizine mentale, la "ragione", c'è un'entità legale che disgraziatamente porta lo stesso nome ma è tutt'altra cosa. Si tratta di una società che non ha scopi di lucro, di un ente statale con un indirizzo specifico che ha dei possedimenti, paga stipendi, riceve contributi materiali e di conseguenza può subire pressioni dall'esterno.
(...)
La gente che non riesce a vedere questa differenza, disse Fedro, e crede che il controllo degli edifici della Chiesa implichi il controllo della Chiesa stessa, considera i professori semplici impiegati della seconda Università, che dovrebbero rinunciare alla ragione a comando e ricevere ordini senza discuterli, come fanno gli impiegati delle altre aziende.
(...)
Il fine ultimo della Chiesa della Ragione, disse Fedro, è rimasto quello socratico della verità nelle sue forme eternamente mutevoli, una verità che ci viene rivelata dai processi razionali. Tutto il resto è subordinato a questa ricerca. Normalmente questo fine non è in conflitto con quello che si propone la sede legale dell'Università, e cioè di migliorare lo spirito civico, ma talvolta sorgono dei conflitti (...)
E il conflitto sorge quando amministratori e legislatori che hanno dedicato tempo e denaro alla sede dell' Università maturano convizioni opposte a quelle espresse dai professori. Allora possono far pressione sull'amministrazione, e minacciare il taglio dei fondi.

IL FINE ULTIMO DEI PROFESSORI, PERO', NON E' MAI QUELLO DI SERVIRE PRIORITARIAMENTE LA COMUNITA', MA DI METTERE LA RAGIONE AL SERVIZIO DELLA VERITA'.

Robert M. Pirsig: Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, pagg 149 151, Adelphi 2009


domenica 1 novembre 2009

Il rosso il nero e il marrone

- Chi siete voi, conte. Non è questo il pensiero, e, meglio, il pensiero che cospira?

- Sono qui per il mio nome. Ma nelle vostre sale il pensiero è odiato. Bisogna ch'esso non si levi più su del ritornello d'una strofa d'operetta: allora lo si ricompensa. Ma l'uomo che pensa, se ha dell'energia e delle novità nelle sue trovate, lo chiamate cinico. Non è l'epiteto che uno dei vostri giudici ha dato a Courier? L'avete messo in prigione, come come Béranger. Tutto ciò ha qualche valore spirituale, in *****a la congregazione lo getta alla polizia correzionale, e la buona società batte le mani. Perchè la vostra società invecchiata pregia soprattutto le convenienze...Voi non v'innalzerete mai più su del coraggio militare: avrete dei Murat, mai dei Washington. Non vedo in *****a altro che vanità. Uno che abbia un po' d'inventiva discorrendo, esce facilmente in qualche cosa di audace, e il padrone di casa si sente disonorato.




Stendhal, Il rosso e il nero, cap. Il ballo

venerdì 16 ottobre 2009

e inoltre

Dicono i Veda: "tutte le facoltà intellettive al mattino si risvegliano". La poesia e l'arte e le più belle e memorabili azioni umane datano da quell'ora. Come Memnone, tutti i poeti e gli eroi sono figli dell'Aurora ed emanano la loro musica al sorgere del sole. Per colui i cui agili e vigorosi pensieri seguono il passo del sole, il giorno è un eterno mattino. Non importa a che ora possa segnare l'orologio o possano indicare le fatiche o i gesti degli uomini. Per me è mattina quando mi sveglio, e allora l'alba è in me. Le riforme morali sono tentativi di scuoterci il sonno di dosso. Per quale ragione mai danno gli uomini un resoconto così misero delle loro giornate, se non perchè sono stati assopiti? Non è che non sappiano valutare. Se non si fossero fatti vincere dal sonno, avrebbero certo compiuto qualcosa di buono. Milioni di uomini sono abbastanza svegli per un lavoro intellettuale, e solo uno su cento milioni per una vita poetica e divina. Essere svegli significa essere vivi. Io non ho ancora incontrato un uomo che fosse completamente sveglio. Come avrei potuto guardarlo in viso?






Andai nei boschi perchè desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ambio e raso terra e mettere poi tutta la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; se si fosse rivelata meschina, volevo trarne tutta la genuina meschinità, e mostrarne al mondo la bassezza; se invece fosse apparsa sublime, volevo conoscerla con l'esperienza, e poterne dare un vero ragguaglio nella mia prossima digressione.



pagg 152 153, Walden, Henry Thoreau



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giovedì 15 ottobre 2009

tempo fa

è già passato quasi un anno.
non so più niente, non voglio più sapere niente.
invece forse vorrei ma mi tappo le orecchie.




giovedì 17 settembre 2009

La grande avventura

In ogni avventura che si rispetti, ci sono un sacco di personaggi; tutti i personaggi delle avventure si dividono in due categorie: i buoni e i cattivi.

Nell’avventura che sto per raccontare però, ci sono i buoni i cattivi e gli incompresi, cioè quelli che non si sa in che categoria includere.

L’avventura che ora vi racconto inizia dalla fine, cioè dalla prova più grande: sopravvivere. Superata la prova della morte, ci sono altre mille prove che il protagonista deve affrontare: prove fisiche e prove d’intelligenza.

Le prove fisiche richiedono costante impegno e incredibile tenacia: il corpo dell’eroe, catapultato da un giorno all’altro in un mondo fantastico pieno di mostri alabarde e streghe e nani buoni e cattivi e incompresi, non è abituato a tanto sforzo. Il protagonista si deve preparare a superare le prove più dure: sollevamento pesi, resistenza, agilità ed equilibrio.

Le prove d’intelligenza invece sono molto più complicate: si tratta di indovinelli e trabocchetti, indovinare parole e nomi di persone e cose senza il minimo indizio, in alcune prove bisogna rispondere a domande le cui risposte potrebbero sembrare scioccamente ovvie, ma alle quali è praticamente impossibile rispondere in un momento di forte agitazione, ma d’altronde quale eroe vorrebbe mai trovarsi in una situazione del genere? Chi mai vorrebbe trovarsi così, inerme senza la minima preparazione, ad affrontare una tale quantità di prove? Io credo nessuno. Ma a volte le avventure che si vivono non si possono scegliere.

Io però, nel narrare questa avventura, preferisco lasciar tranquillo l’eroe, che la sua avventura se la sta vivendo tutta senza esclusione di colpi e ce la sta facendo alla grande.

Io per ora preferisco parlare dei personaggi. Non saprei se iniziare dai buoni o dai cattivi. O dagli incompresi.

Anzi facciamo così, inzio dalla fine e procedo in ordine di apparizione.

L’amico sfuggente del papà: questo piccolo personaggio curioso non so se inserirlo nei buoni e nei cattivi, ecco quindi che ci troviamo subito ad avere a che fare con un incompreso. Nessuno è mai riuscito veramente a capire a chi si riferisse il papà nominando l’amico sfuggente, perché di “quello piccolo, abbronzato, con gli occhialetti e i capelli corti” ce n’erano due. L’abbronzatissimo amico sfuggente del papà, credo, è quello che ha dato inizio al gioco. Fu lui ad avvisarci del fatto che l’avventura era iniziata e che la prova più grande avrebbe avuto inizio quella notte in cui lo conoscemmo. Già, perché la prova più grande ha avuto la durata di 25 giorni. Eh oh, è una prova grande.

E’ per questo che non ci è tanto simpatico. Bisogna anche dire però che ce ne sono di più antipatici di lui da descrivere, quindi facciamo che si è giocato il jolly e fa parte degli incompresi.

Il dott. Conti: eh, lui sì che sa dissimulare la nobiltà che gli conferisce il suo titolo. Lo dissimula così bene che con quel pancione fasciato dal camice candido e trasportato dai suoi zoccoli immacolati potrebbe assomigliare più a un macellaio che a un dottore. Però non ha sbagliato un colpo ed ha aiutato l’eroe a superare la prima prova. Quindi si merita di far parte di quelli buoni.

Ma Conti è strano.

Conti non ha mai capito una battuta. Non l’ho mai visto sorridere. Mai visto ridere. Anzi sì, ma non ho capito perché. Conti non ha mai detto una parola in più ne’ una in meno. Conti parla come wikipedia .

Ho quasi il sospetto che Conti non sia un personaggio umano, ma umanoide, perché non ho mai intravisto nel suo sguardo l’ombra di un sentimento. Conti non sente la stanchezza, per lui i turni di lavoro non esistono, il lavoro dà vita e le ferie che si fottano. Se hanno chiamato lui nonostante fosse in vacanza da un giorno è perchè "eh, era urgente", che domande.

Credo che Conti non abbia impulsi di nessun tipo. Me lo sono immaginato una volta, come si sarebbe comportato in una situazione del tipo: Conti ha davanti una donna nuda, a gambe aperte. Il perché della nudità della signorina dovrebbe essere intuibile ai più, ma il dottore, dopo un’attenta valutazione della situazione, e considerata la drammaticità della stessa, probabilmente non cercherebbe neppure lo sguardo dei suoi assistenti e guardando a terra con un’espressione che significa “go visto de pezo” sentenzierebbe “suturiamo”.

Mortisia: alias il dottor Violo. L’uccello del malaugurio. Lui siiii che ama complicare le situazioni! Come ci si fa a fidare di un personaggio sibillino che quando trasmette le informazioni non guarda negli occhi e agita le ginocchia dentro e fuori in maniera compulsiva come se si stesse ventilando le balle?

Bah. Il papà lo vorrebbe mettere tra i buoni perché alla fine lui aveva trovato la chiave di volta per interpretare i suoi criptici messaggi, ma mettiamolo tra gli incompresi e sono anche troppo buona.

La dottoressa cattiva. La dottoressa cattiva è buona. Piccoletta tutto nervo, anche se ha tentato di tendere qualche tranello mettendo a dura prova la resistenza psicofisica dei sostenitori dell’eroe va messa tra i buoni per una questione di pathos. A quanto pare è mamma anche lei.

Il dottor tesoro. Bello lui. Ha dato a mio padre del gentiluomo e a me ha detto “tesoro” (aahhhhn….) ed è bello. Chiunque vorrebbe un personaggio così nella propria avventura, uno di quelli discreti ma che infonde sicurezza. Però per punizione va di corsa tra i cattivi.

Se la fa con la tipa sbagliata.

Il dottor Lazzari: a lui va il trofeo del più buono tra i buoni! Al dottor Lazzari piace un sacco l’arancione: i suoi occhi vispi e bonari sono circondati da occhiali dalla montatura arancione. Al collo ha uno sgargiante stetoscopio a raggi laser arancione, al polso porta un orologio che è un minicomputer arancione e ai piedi porta un fantastico paio di crocs arancioni alate. L’ultima volta che l’ho visto in testa aveva una cuffia arancione, di quelle che permettono di trasferirsi col pensiero da un posto all’altro senza muoversi, e senza avvisare, con sommo stupore di tutti.

Il dottor Lazzari ha un po’ la faccia da frate tac ma non è ciccione.

Il dottor Lazzari è magico ed è buono, davvero.

Lui è stato l’unico a riconoscere che “eh no, questo non è Pingu, questo è suo fratello, è più piccolo.”

La dottoressa stronza. Ah, nonostante sia stata catalogata per direttissima come iperkattiva, è un personaggio di cui adoro parlare. La dottoressa stronza è riuscita a sfiorare una denuncia per omissione di soccorso all’interno di una corsia di ospedale. La dottoressa stronza è figa. La dotteressa stronza è una di quelle che al bar chiede un decaffeinato d’orzo in tazza grande tiepido e macchiato latte di soia solo schiuma (e con sb**ra a parte nda -fredda, secondo mio fratello).

La dottoressa stronza in verità mi sta un sacco sui maroni perché a detta di molti se la faceva col dottor tesoro, perché li si vedeva sempre assieme.

Anche se mi secca tantissimo ammetterlo la tipa qua deve avere due palle cubiche, per essere arrivata dov’è ora. Il mondo della chirurgia è uno dei più maschilisti che esistano. Quindi BRAAAAVA BRAAAAVA dottoressa stronza, però mi stai sui maroni lo stesso.

Ah, nemmeno lei capisce le battute.

La Rosetta : la Rosetta è una carnefice, ma va tra i buoni. Infermiera iperfriulana dalla parlata indecifrabile, con gli accenti tutti storti e la facciona impallinata di lentiggini. Quando si sente arrivare la Rosetta non si sa se essere contenti o disperarsi. Ma forse, quello che si sarebbe dovuto disperare di più è Pingu.

Pingu: Lui è un buono, è il piccolo aiutante magico dell’eroe. Costato ben 18 euro in un negozio di giocattoli magici di Bologna non ha abbandonato l’eroe neanche un secondo. Un pinguino valoroso, di pinguini come lui ce ne sono davvero pochi al mondo. Ha affrontato tutte le prove assieme all’eroe ma l’unico vero ostacolo l’ha trovato quando ha incontrato la Rosetta, la sua aguzzina. La Rosetta è più grossa di lui e l’ha sopraffatto solo per superiorità fisica, non c’è altro motivo. Ogni qualvolta lei apparisse con i maroni un pelino più girati del solito, Pingu sapeva quale sarebbe stato il suo destino: sarebbe finito ad ali annodate dietro la schiena a fissare il muro in un angolo, E A PENSARE A QUÉLO CHE L’AVÉA FATO O DITO, PARCHÉ NO SE POLE ANDARE AVANTI CUSSÍ.


to be continued and modified...

giovedì 21 maggio 2009

consapevolezza? mah. la sua, saggezza

trovo salutare restare solo per la maggior parte del tempo. essere in compagnia, anche dei migliori, provoca subito noia e dispersioni. amo restare solo. non trovai mai un compagno che fosse tanto buon compagno della solitudine. per la maggior parte, noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. un uomo che pensi o lavori è sempre solo - lasciatelo stare dove vuole. la solitudine non è misurata dalle miglia di distanza che si frappongono fra un uomo e il suo prossimo. lo studente realmente studioso è un solitario, in uno degli affollati alveari di harvard, come derviscio nel deserto. il contadino può lavorare da solo per tutto il giorno, nel campo o nel bosco, zappando o tagliando legna, e non sentirsi tale perchè ha qualcosa da fare; ma a sera, quando torna a casa, non può sedersi da solo in una stanza, alla mercè dei suoi pensieri, ma deve stare dove può "vedere gente", e svagarsi - come s'immagina - remunerare sè stesso per la sua solitudine giornaliera; pertanto, egli si meraviglia come mai lo studente di giorno possa sedere, solo, in casa, per tutta la notte e gran parte del giorno, senza noia e pensieri neri; non capisce che lo studente, sebbene in casa, sta ancora lavorando il suo campo e sta tagliando nel suo bosco, come il contadino, e che a sua volta cerca lo stesso divertimento di quest'ultimo, sebbene, magari, in una forma più condensata.
di solito la compagnia è troppo da poco. c'incontriamo a intervalli molto brevi, non avendo avuto il tempo di acquisire qualsiasi nuovo valore reciproco. c'incontriamo ai pasti tre volte al giorno, e reciprocamente offriamo un nuovo assaggio di quel vecchio formaggio ammuffito che siamo. abbiamo dovuto metterci d'accordo su una certa serie di regole, chiamate gentilezza ed etichetta, per rendere tollerabile questo frequente incontro, e così che non sia necessario venire ai ferri corti. c'incontriamo all'ufficio postale, alle riunioni, e presso il fuoco, ogni notte; viviamo l'uno troppo appresso all'altro e ci intralciamo a vicenda, inciampiamo l'uno sopra l'altro, e credo che così perdiamo un certo mutuo rispetto. certamente, per tutte le comunicazioni importanti e cordiali basterebbe meno frequenza. pensate alle ragazze della fabbrica - mai sole, e tali appena appena nei loro sogni. sarebbe meglio se ci fosse un solo abitante per miglio quadrato, come dove io vivo.
il valore di un uomo non è nella sua pelle, così non occorre toccarlo.


pag 201 - 202, Walden, E. Thoreau

domenica 19 aprile 2009

Un bostezo y una meta

1, 2, 3, 4, 5, y regreso, 1, 2, 3, 4, 5, y sigo Segundo a segundo desnudándote en mis recuerdos, sintiéndote con mis sentidos, amándote.
Cada vez que paso sobre el túnel de mis recuerdos me ago una parada y visito mi destino que pasado y presente se hizo por no construir bien el camino.
Me adentro y un eco ensordecedor taladra hasta el fondo de mi y me doy cuenta que la respuesta existe que las metas están marcadas que los sueños se alcanzan y otra vez me pongo en Lina de salida y un bostezo me dispersa caigo al suelo y recuerdo que esto ya es vivido, reflexiono y concluyo que el único motivo es la faltas de fuerzas y pienso ¿que paso? ¿Donde estuvo la carencia?, ¿quien se metió dentro y desvalijo hasta mi corteza? y siguen pasando los segundos y no hay sorpresa, solo un bostezo y una meta.

Titàn


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lunedì 13 aprile 2009

Por fin mi companero llego'

Un recuerdo posa en mi alma, el mas lindo y bello de los recuerdos
Un nuevo sol dará paso a otras aguas, una nueva luna acunara las almas.

Vida, vida siempre y bella vida la que nos unió y nos separo.
La que hoy logra un poema y una canción.
Vida, dura, tierna, fugaz, y eterna vida.
Tierra, agua y fuego.
Una copa por los dos se alza, y una estrella danza.

Titàn

mercoledì 8 aprile 2009

Convivenza

Anche questa mattina, come tutte le mattine da un anno a questa parte, ho aperto gli occhi e ho incrociato i suoi. Anche questa mattina, come ogni mattina, lei era lì con me, stesa sul mio letto sotto le mie lenzuola, la guancia sinistra sul mio cuscino. Mi ha guardata e come se niente fosse mi ha detto “buongiorno!”. Mi ha fatto subito venire il malditesta. Abbiamo fatto colazione assieme, con il succo d’arancia i biscotti il drenante e i fermenti, ma lei si è lamentata del fatto che il succo d’arancia non sapesse abbastanza di arancia. Se sapesse quanto bene fa la vitamina c.
Dopo colazione siamo rimaste sedute un po’ a tavola, senza dirci nulla. Chissà se c’era qualcun altro a casa. Se c’era qualcuno probabilmente dormiva. Non ci guardavamo nemmeno, ho acceso la tv, probabilmente mi son sintonizzata su qualche programma del cazzo del lunedì mattina, sinceramente non mi ricordo. Volevo alzarmi, andare a lavarmi la faccia e vestirmi, ma lei, con la sua solita irritante, tediosa, snervante pigrizia, ha preferito rimanere seduta a tavola almeno un’altra mezz’ora. Cosa dovevo fare, sono rimasta con lei, in silenzio. Poi finalmente ha deciso, lei, che era ora di attivarsi e mi ha accompagnata in bagno. Può sembrare incredibile ma pure lei fa la cacca.
Bagno vestiti check veloce su internet e di corsa a lezione. Ero in ritardo perché ho dovuto aspettare che lei scegliesse cosa mettersi e con che trucco mimetizzarsi le espressioni. Sono arrivata a lezione con 15 minuti di ritardo, ma la prof non mi ha nemmeno notata entrare in aula. Lei si è seduta accanto a me e mentre io cercavo di prendere appunti lei mi parlava all’orecchio delle sue stronzate, delle sue paranoie e delle sue fisime da adolescente, due palle. Durante la pausa sono andata a mangiare con i miei compagni di corso, è venuta anche lei. Ovviamente non ha rivolto la parola a nessuno. Ma del resto, nessuno l’ha rivolta a lei. Dopo un’altra ora e mezza di lezione siamo tornate a casa. Ci siamo sedute sul divano e assieme abbiamo fissato il vuoto. Anzi, il bianco del muro e assieme, ci siamo chieste come avremmo potuto fare per salvare il mondo. Siccome non siamo riuscite a trovare una risposta nel giro di 5minuti, ci siamo fumate una sigaretta e abbiamo bevuto un’altra spremuta d’arancia. Per fortuna quella sera avevamo allenamento, altrimenti ci saremmo dovute votare a qualche santo che facesse finire la giornata nel più breve tempo possibile e nel più indolore dei modi. Con una piada sullo stomaco siamo salite (di corsa) sul 27 diretto verso l’autostazione.
Ero in anticipo, come sempre, e luomodelkungfuchefagliaddominali ci ha salutate. Ma credo di piacergli di più io. Siccome lei è la regina del girone degli accidiosi, non fa allenamento con me. Mi accompagna in palestra ma mi aspetta fuori e mi guarda dalla porta. Almeno durante quell’ora riesco a togliermela dalle palle.
Solitamente mi accompagna pure dove lavoro, viene con me ma non timbra il cartellino. Mi fa compagnia tra un culo e l’altro ma quando la gente sorride lei fa uno sguardo indispettito e fa finta di non vedere. Davvero, giuro che non la sopporto quando fa così. Anche perché non capisco per quale motivo lei voglia venire con me quando devo andare a lavorare se poi si deve annoiare e lamentarsi. Resta lì a fissarmi mentre lavoro, qualsiasi turno faccia lei insiste per accompagnarmi e io stronza non riesco a dirle di no. Poi mi fa ritardare perché ha sempre qualche cazzata da raccontarmi e io per non farla stare male l’ascolto.
Dicevo.
Dopo allenamento siamo tornate a casa e abbiamo cenato mangiando qualche porcheria che ci è rimasta sullo stomaco e si è agitata come un maiale che si rende conto del suo destino prima di essere macellato.
Doccia. Le ho lavato la schiena e i capelli, dopodiché le ho cosparso il corpo di crema idratante. Non le piace il suo corpo, il seno piccolo e il culo morbido e tondo. Ho provato un sacco di volte a convincerla di non essere poi così cesso, ma non mi crede mai, si mette davanti allo specchio e fa mille facce, controlla pancia e fianchi e si deprime.
Siamo andate di corsa a letto perché eravamo sfinite. Si, nonostante tutto, pure lei sfinita. Vabè.
Volevo leggere qualche pagina prima di addormentarmi ma lei mi voleva parlare. Quando comincia un discorso io…sono come mossa da istinti omicidi dei più truci, vorrei prenderla per il collo e premere quelle vene così forte da farle sputare gli occhi dalle orbite. Non capisce che io non voglio starla a sentire, non mi interessa quello che ha da dirmi perché quello che lei mi vuole a tutti i costi raccontare sono le cose che abbiamo fatto assieme durante la giornata quindi LE SO GIA’, non ho bisogno di farmele ripetere prima di addormentarmi perché sì, è noiosa, ma non mi fa addormentare,lei mi INNERVOSISCE.
Credo che prenderò provvedimenti.
Quando sono venuta a Bologna volevo una camera singola ma dentro ci ho trovato lei. Le devo parlare, le devo spiegare che questa convivenza deve finire entro breve, si deve trovare un’altra sistemazione al più presto. Sono pure disposta ad aiutarla purchè si levi dai coglioni immediatamente.
Comunque credo che capirà, nonostante si sia molto attaccata a me (morbosamente attaccata a me). Sa bene di non stare simpatica ai più. Non è simpatica a me, agli altri inquilini e ai miei amici, lei non va d’accordo con nessuno. Non ha mai nulla di interessante da dire e quando siamo a cena con amici lei non dice una parola, fa parlare sempre me ma a volte mi esaurisco anche io e taccio.
E’ che si è posta male fin dal principio.
Un po’ la compatisco, lo ammetto.
Però in ogni caso è giunta l’ora che se ne vada.




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giovedì 5 febbraio 2009

YO PARA SER FELIZ QUIERO UN CAMION (io per essere felice voglio un camion)

questa cosa l'ho scritta a febbraio del 2007, ed è piaciuta a diverse persone, credo si meriti di essere pubblicata anche qui.
ora faccio un lavoro molto diverso,che mi piace, ma alle volte sento un po' di malinconia, perchè mi mancano un sacco cb italo e cb manolo.




YO PARA SER FELIZ QUIERO UN CAMION

OVVERO: le mie avventure con i camionisti.

No, non faccio la baldracca in via Fratelli Bandiera.
Da martedi, fino a questo venerdì, passerò 6 ore della mia giornata in mezzo a camion camionisti e finanzieri, alla dogana di porto Marghera.
No, ribadisco, non faccio la baldracca.
Praticamente devo placcare i camionisti fermi in coda in dogana e far loro delle domande a scopo statistico.
Probabilmente qualcuno avrà intuito di cosa si tratta....ebbene si, è un co.co.pro, uno di quei lavoretti per cui lavori come un dannato, in condizioni al limite dell'immaginabile e ti pagano dopo millemila anni. Devo fare lo slalom tra motrici e rimorchi e intervistare i vari c.b. Moreno e c.b. Italo. Potrebbe sembrare una troiata. Effettivamente non è che ci sia da ammazzarsi dalla fatica, il fatto è che i camion in coda sono TANTI e tutti accesi. E siccome non sono alta 7km i tubi di scarico mi arrivano più o meno all'altezza delle ginocchia. Quindi, per qualche giorno mi farò dei sani aerosol al co2.
Ieri ero alle entrate, oggi alle uscite, domani chissà.
Le domande sono una decina, e il primo giorno volevo assolutamente porle in maniera impeccabile ed educata, così mi sono imparata a memoria la formuletta che Alvise, il mio esperto collega, mi aveva consigliato di dire: "buongiorno, sono dei Sistemi Operativi di Mestre, stiamo facendo delle interviste a scopo statistico per conto delle autorità portuali di Venezia, volevo sapere, per cortesia, lei viaggia a pieno carico?mezzo pieno?vuoto?che cosa trasporta?quante tonnellate di questa cosa trasporta? dove ha caricato il camion?dove scaricherà?grazie e arrivederci."
Poi mi sono resa conto che la formula è sì educata ma poco efficace. I camionisti hanno di meglio da fare che stare a sentire sta sbarbata mascherata e le sue buone maniere, così oggi sono passata alla seguente: "scusi due domande,che carico ha e dove va?", anche perchè oggi ero alle uscite e i camion sfrecciano come delle saette, i camionisti scendono inforcando gli zoccoli al volo (guidano scalzi), fiondano la bolla dentro alla finestrella dei doganieri e balzano dentro la cabina nel giro di 3 nanosecondi. Se hanno un carico interessante chiedo le tonnellate, altrimenti faccio a meno, o invento.
I camionisti sono dei grandi. Intanto, sono educatissimi, ti stanno sempre a sentire, solo qualche raro energumeno si è rifiutato di rispondere (tra i quali, tra l'altro, l'unica camionista donna che ho incontrato in 2 giorni). E poi si vede che han bisogno di comunicare in una maniera che non sia tramite un cb, ma più umana. Quando si forma la coda ne approfitto per intervistare più camionisti possibili senza dover far loro fermare il veicolo. Cosi zigzago saltellando in mezzo ai bestioni, per farmi vedere da loro dall'alto della cabina. E così capita di scambiare due parole con questi personaggi. Uno ieri mi ha chiesto se oltre alle risposte poteva lasciare anche dei commenti: "il porto di Venezia fa schifo, io ne ho girati tanti ma questo è il peggiore, tuto incasinà". Mi dice che si passano giornate intere guidando e poi gli tocca pure far 2 ore di coda a un metro dalla loro meta. Così il tipo in questione si sfoga un po' e mi fa "io...ho sbagliato tutto, dovevo andare a scuola altro che camion!" Io ci rifletto un po' su, poi rialzo lo sguardo e ribatto: "beh, io sto finendo l' università e son qua a far domande idiote". "giusto" risponde.
Vabè.
Comunque in questi giorni ho imparato un sacco di cose. Intanto, la differenza tra camion (o autocarro, cioè motrice e rimorchio non separabili), autotreno (cioè camion + rimorchio) e autoarticolato (o bilico, cioè trattore stradale + semirimorchio); poi, che ci sono container da 20 e da 40 piedi; che i cartelli arancioni dietro ai cassoni stanno a significare che trasportano sostanze pericolose (ma questo lo ricordavo da scuola guida), e che i codici di pericolosità son due, quello sopra è il Kemler e quello sotto l'Onu, che identifica la merce; che la ghisa (probabilmente) la lavorano a Brescia e Bergamo (o a Dalmine, dove fanno i tubi Innocenti), che il marmo lo portano a Verona, che a Trebaseleghe sono degli imbriagoni perchè le autobotti col mosto vanno tutte la, che probabilmente a Ponte della Priula stanno costruendo parecchio perchè ci son diretti decine di camion carichi di clinker (non vi dico cos'è, ve lo andare a vedere:-)); che i rotoli di materiale metallico si chiamano cois.
Insomma, mi diverto da matti. Anche perchè son sempre un po' stata affascinata dai motori grossi e dalle ruote grandi. Poi mi incuriosisce sapere il tipo di carico che hanno, da dove vengono e dove andranno, mi immagino quanta strada si son fatti sti cristi. Per ora putroppo non ho rilevato carichi particolari, a parte un trasporto eccezionale (i miei preferiti) proveniente dal Marocco, che consisteva in un'enorme cassa di legno piena di ventilatori.
E poi, c'è da far notare che non è detto che per forza uno che è camionista sia pure volgare. In due giorni avrò visto una cosa come mille camion al giorno con relativo camionista, e ho sentito porconare in due sole occasioni: un poveretto al quale era scoppiata una gomma a 5 metri dalla sbarra della dogana, e un anzianotto a cui avevano caricato un container sbagliato. Che ha dovuto quindi girarsi (!!!), rietrare in dogana, rintracciare il suo container (sempre che non fosse stato caricato sul di un altro camion) e ripartire. Io e gli altri rilevatori abbiamo constatato a noi è scappato di ben peggio in situazioni decisamente meno gravi.
I camionisti sono persone davvero adorabili, per lo meno quelli che passano per di li, poi ci sarà di sicuro qualche figlio di puttana. C'è un codice di comportamento e, io credo, anche d'onore. E di collaborazione. Si fa di tutto per rendersi il lavoro facile, anche con noi. Quindi noi stringiamo il tempo delle interviste, e loro si passano parola tramite radio, in modo che quando arrivano al blocco della dogana, sanno già che gli faremo delle domande e quali sono le risposte da dare. Così capita che i dialoghi siano i seguenti:
-scusi due domande
-ferro 25 tonnellate bergamo.
-grazie
-gnente
Stradivertente.
Nonostante me la stia spassando e sia ben retribuita, so che questo non potrebbe mai essere il lavoro della mia vita. Più che altro perchè è difficile diventare degli adulti sani passandosi 6 ore al giorno tutti i giorni a porto MARGHERA (...) in mezzo a polveri che più che sottili mi sembrano piuttosto intense.
Quindi, se sopravviverò alle inalazioni di pm1o e se troverò dei carichi interessanti, non tarderò ad aggiornare il presente resoconto.





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mercoledì 7 gennaio 2009

io

solo
sto aspettando
che te ne vada
le mie porte sono sempre state aperte



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venerdì 2 gennaio 2009

5 noviembre 2008

Ando sola bajo la lluvia, mis pies estàn mojados y pisotean hojas podridas y barro derretido. Mis hombros, como goteras, dejan caer gotas y làgrimas, pero indistintas, detràs mi espalda.
De volver a casa, ni hablar. Solo andar, andar mojada, andar bajo la lluvia, andar acabando dentro charcos negros hasta las rodillias. Voy escuchando a un gato que me aconseja llevarle al mar, para ense
ñarle como soy. Pero la playa parece quedar demasiado distante. El ùnico agua que me rodea està limpiandome las suelas de todo el sucio que tengo acumulado por haber recorrido demasiados caminos sin saber adonde iba.