sabato 24 luglio 2010

9364 giorni

Feliz cumple buon compleanno joiòs anniversér pepeeepepepepe eccetera.

Mentre ascolto rino gaetano dopo aver trascritto i dati delle ultime interviste, osservo i due francesi mentre incollano foto su un cartellone da lasciare all'hogar.
Volendo tralasciare il fatto che solo dopo aver scelto e sviluppato le foto nelle quali appaio solo una volta, mi hanno invitata a partecipare al suddetto cartellone, preferirei soffermarmi sul titolo che hanno voluto dare alla loro opera sulla quale stanno smadonnando da diversi quarti d'ora. El hogar san francisco, un lugar de amor.
Allora, tutto sommato i due francesi mi stanno simpatici, anche se trasmettono la stessa allegria che può trasmettere una scheggia nel culo. Non vorrei che il messaggio che sto diffondendo sia che ce l'ho a morte con loro, è che purtroppo mi tocca averci a che fare anche troppo spesso e (si sa) per me la convivenza è una specie di supplizio che mi autoinfliggo. E' che li osservo, anche troppo. E ciò che sto pensando adesso è che con tutte le riflessioni che potevano fare sull'hogar è che è un lugar de amor. Un lugar de amor?e basta?
Lo so son troppo polemica.
Il titolo gliel'ho suggerito io. Solo che scherzavo!
E' che l'hogar a me sembra un microcosmo estremamente complesso, per me quasi incomprensibile, e nonostante sia stata involucrata, volente o nolente, in alcune dinamiche piacevoli e altre spiacevoli, e nonostante stia osservando questo posto da diverse settimane, ancora non sono riuscita a capire bene come funzioni.
Non riesco a capire come stiano veramente le ragazze, se amano o odiano questo posto. A me sembra quasi che ripudino le stesse regole di cui hanno però un disperato bisogno: alzarsi ad una certa ora, andare a dormire ad un'altra, pulire stanze e salone, orari per mangiare, le cose da fare al proprio bebè. E' difficile da capire anche il rapporto che hanno queste ragazze con i loro figli. Il fatto è che la più grande ha 21 anni e ha una figlia di due, e la più giovane ha 16 anni e un meraviglioso bebè di 10 mesi, perennemente sudicio di terra e muco. Insomma, è un maledettissimo macello.
A volte le vedo coccolare le loro creature come farebbero le mamme più grandi, altre volte le vedo trattarli come bambole, cambiargli i vestiti e fargli foto, altre le vedo esasperate e odiarli quasi, considerarli come un peso, un fardello pesantissimo, una palla al piede.
Io non ci vedo solo amore in questo posto. Io non riesco a percepirlo. Ci sono troppe incognite per me. Io vorrei vederci della speranza e un punto di partenza per loro ma soprattutto per i loro figli, che cresceranno senza una famiglia sostanziale. Ma sento tanta stanchezza e anche un po' di tristezza.
Sicuramente questo posto è una manna dal cielo per queste ragazze...tante, tantissime volte penso a come/dove starebbero se non fossero qui...chi si prenderebbe cura di loro?ah perchè è indubbio che per l'età che hanno ancora un disperato bisogno di cure...sono delle ragazzette. Beh ormai no, che hanno quasi tutte 20 anni, però in ogni caso credo che a nessuna delle mie simili farebbe piacere di avere il pancione a 18 anni e nessuno su cui contare. Ah perchè poi risulta che praticamente solo uno dei conniventi su 5 si sia assunto la responsabilità del proprio agire.
Sì, perchè poi c'è da dire che qua, l'esemplare maschio del genere umano ha ereditato nel proprio dna tutti le caratteristiche più terribili tipiche del maschio medio europeo, nella fattispecie spagnolo e italiano, visto la quantità di discendenti di queste due temibilissime razze. I maschi argentini sono machisti oltre il limite, considerano la donna come un essere succhia aria e succhialtro da penetrare e buono per fare da mangiare e basta, ma com'è tipico del maschio italiano è anche profondamente ipocrita, sostanzialmente sputa sul piatto dove mangia e chi si fa il culo per loro è sempre e assolutamente la donna. Ma proviamo a indovinare secondo loro di chi è il merito se il sole sorge ogni mattina?
Gli uomini qua sono dei luridi. Non so quanto si potrebbero impegnare per risultare più inutili di così.
Gli uomini argentini sono dei maledettissimi porci, qualsiasi essere vivente semovibile su due gambe e dotato di almeno una cavità riempibile è oggetto di commenti di tutti i tipi, ad ogni momento della giornata, tutti i giorni, sempre, senza sosta. Non sono abituata, mi spiace, e non vedo perchè mi ci dovrei abituare. Da Buenos Aires a Puerto Iguazu passando ovviamente per Posadas, che io vada per strada vestita con un sacco per le scoasse e un cappello di merda in testa sono sempre e comunque oggetto di piropos fastidiosissimi. Durante il tragitto da san francisco a san jorge rischio un infarto del miocardio ogni due per tre, visto che dalla moto al camion rimorchio all'expresso singer tutti devono per forza suonare il clacson. Quello che voglio dire è che non posso attirare l'attenzione così tanto, ok sono una pecora bianca e occhi e capelli non mi sono molto d'aiuto, ma ultimamente non sono esattamente uno spettacolo. Sono oggetto di così tante attenzioni solo perchè potenzialmente ficcabile e come me tutte le altre. E' una cosa che mi manda in bestia e mi fa incazzare ancora di più il fatto che molte donne qui, come in Italia come negarlo, si adattano a questo e lo considerano un comportamento normale perchè, come mi ha detto oggi una ragazza dell'hogar parlando della scarsa dedizione alla pulizia di uno dei due francesi, no se pueden sacar naranjas de una higuera, o na roba del genere.
Non vuol dire un cazzo. In Italia le femmine si sottomettono a questo ignobile meccanismo facendo finta da pomi e passando a malapena sotto le porte, qua invece sfornano pargoli come panini con l'uvetta e poi se li crescono da sole e oltretutto lavorano, cazzo, che fastidio. Perchè lavorano ste benedette donne, si fanno il culo come una casa. Volete sapere quanti uomini ho intervistato fino ad adesso, su una totalità di 68 interviste? Cinque. Cinque, dio ingiusto, cinque. Vogliamo parlarne?E' perchè il programma è diretto principalmente alle donne o perchè la maggior parte degli uomini passa il proprio tempo per strada tomando mate o seccando birra e rompendo i coglioni a me? Certo il fatto che i prestiti siano elargiti a gruppi in cui non possono esserci più di due maschi limita il loro accesso a questo beneficio, ma vogliamo per cortesia chiederci come mai i prestiti si concedono praticamente solo alle donne? Perchè loro sono più affidabili dei maschi? Perchè gli uomini sono universalmente inferiori e incapaci di gestire in maniera corretta qualsiasi tipo di opportunità gli venga offerta. Anche nell'età adulta hanno bisogno di una mamà che li controlli e dica loro cosa fare, cosa dimostrata appunto dal fatto che i gruppi devono essere costituiti in maggior parte da donne.
Una delle imprenditrici addirittura mi ha raccontato che suo marito non lo sa che lei prende a prestito i soldi da Jardin, perchè lui non vuole. E cosa dovrebbe fare sta povera crista, tirare a campare ancora qualche mese finchè il peso vale ancora qualcosa e poi mandare tutto in merda?
Ciò che davvero mi piace, mi fa letteralmente impazzire del microcredito è che tutte le donne che ne beneficiano si sentono sostanzialmente delle fighe, si sentono orgogliose, si sentono belle (me l'hanno detto), tranquille, serene, si uniscono tra di loro e da quanto ho capito il tessuto sociale del barrio san jorge lo stanno lavorando tutte queste donne nei loro telai, nelle loro case, nei loro negozi, con i loro sogni e le loro ambizioni. E' una cosa che fanno soprattutto per se stesse, una sfida alle proprie capacità e grazie a queste mettono il turbo alla propria autostima. Quasi tutte loro mi dicono che sono felici perchè sono indipendenti. Non mi dicono mai da cosa o da chi, ma ci tengono a sottolineare che la loro felicità se la sono fatta da sole, con il loro chioschetto vendendo stronzate.
Se il prezzo da pagare per tutto questo è che qualche maschio imbecille si sfondi il fegato il sabato sera allora sì, mi va bene.


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lunedì 19 luglio 2010

Giorni umidi

Saigon.
No, mentira, Iguazu. È che per certi versi mi sembrava di essere in vietnam, se davvero il vietnam è come lo si vede nei film. Nel parco di Iguazu la vegetazione è fittissima e impenetrabile, da lontano si sentono i versi di chissà quali animali e con la pioggia e le nuvole la selva e il fiume avevano un'aspetto tetrissimo. Per quanto mi riguarda in ogni caso, la prima cosa che ho pensato quando sono salita sul motoscafo per andare a vedere le cascate è che a costo della vita dovevo assolutamente andare a prendere Kurtz.
No mentira anche questa, la prima cosa che ho pensato quando sono salita sul gommone è stata “chi me l'ha fatto fare”.
Nel post precedente ho scritto che sul rio paranà ho affrontato una delle mie più grandi paure, ma non ho specificato se l'avevo superata o no. Ebbene, la risposta è NO e questo fine settimana ho avuto la prova dell'assoluta malignità di questo elemento perverso e traditore qual'è l'acqua.
Per andare a visitare le cascate di Iguazu abbiamo scelto il periodo migliore, cioè l'inizio dell'inverno e due giorni di pioggia non stop.
Ok che come ha detto un tipo champagneconspeed amico dell'
hombre (…) “a Iguazu con lluvia o sin lluvia igual te mojas”, però con una pioggia così battente andare alle cascate è stata un'esperienza assurda perchè sembrava che piovesse da sopra, da sotto, e a volte anche di lato.
C'è di buono nel vedere i film sul Vietnam che impari un sacco di cose sulle zone molto umide. Così, ho seguito il consiglio del tenente Dan,e sono riuscita a tenere i piedi all'asciutto portandomi dietro gli scarponi da montagna e un sacco di calzini di ricambio. I due imbecilli che sono venuti con me invece, non hanno visto forrest gump, così uno è venuto con le scarpettine radicalindiechic di teletta, e quell'altro non lo calcolo, per me potrebbe essere annegato. Chiedo scusa per quest'impeto di violenza, è che in questi giorni mi sono resa conto di quanto noiosi e pappemolli siano i miei compagni di avventura.
Comunque capisco perchè Iguazu sia considerata una delle meraviglie del mondo. Il fatto è che non è che sei li e guardi e dici “uau che bello” o “che meraviglia”, no, sei li, guardi, e taci perchè non trovi le parole per descrivere quello che vedi, vorresti fare un sacco di foto per portarle a casa e dire “guarda quanta cazzo di acqua” ma le foto non rendono l'idea della portata d'acqua che precipita giù in fondo dentro alla gola del diavolo. Non è che sia “bello” nel senso stretto del termine, è spaventoso, allucinante, stupefacente e meraviglioso. Il fiume scorre tranquillo e silenzioso e non è nemmeno tanto profondo, non c'è molta corrente, ma ad un certo punto il letto sembra rompersi di netto e precipitare per non so quanti cazzo di metri e ciò che si crea è come una bolla gigantesca di acqua bianca e verde che cadendo diffonde un boato apocalittico che si sente anche da lontano.
Tutto questo si vede “da sopra” cioè dalle passerelle che arrivano fino alla garganta del diavolo, che è praticamente il salto più impressionante.
Abbiamo anche fatto un giretto in gommone a remi lungo uno dei bracci del fiume per avvistare qualche bestia ma oltre a me abbiamo visto solo un paio di caimani e un uccello tipo pavone in miniatura. Le scimmie erano nascoste perchè pioveva. Il giro in gommone non è stato male, ma ho preferito nettamente l'intimità dell'esperienza in kaiak sul paranà perchè c'eravamo solo noi pochi con l'amico Nelson e il fiume era tutto per noi. Iguazu invece, come è logico che sia, è un parco giochi mangia turisti.
Dopo il gommone e un pasto frugale, è iniziata la gran aventura, che prevedeva 8 km di jeep scoperta, ovviamente sotto una pioggia implacabile, e un giretto in gommone a motore sotto le cascate.
Il giro in jeep in mezzo alla jungla è stato bello, o almeno credo, visto che considerando che mi pioveva direttamente dentro agli occhi non sono riuscita a vedere moltissimo.
Il giro in gommone invece è stato bellissimo ma tremendo e credo di averci lasciato qualche mese di vita in cambio di un paio di capelli bianchi in più.
Non sto esagerando. Mi sono letteralmente cagata in mano e a na certa volevo quasi chiedere di attraccare e farmi scendere, magari dal lato brasiliano. Ovviamente questa ipotesi l'ho scartata nello stesso momento in cui l'ho pensata, ma ho desiderato tantissimo che questa cosa terminasse nel più breve tempo possibile. Il motoscafista ci ha portati fino sotto alla gola del diavolo, dove la corrente è fortissima e le onde sono altissime. La barca si alzava e si schiantava sulle onde violentemente e ogni volta che succedeva ovviamente mi immaginavo quanta gente sarebbe venuta al mio funerale e se mai avrebbero trovato il mio corpo.
Inoltre, siamo andati a infilarci direttamente sotto alle cascate, apposta, ma davvero l'obiettivo era inzupparsi e probabilmente con qualche grado in più sarebbe stato proprio una figata ma una volta usciti dalle cascate eravamo sotto l'acqua di nuovo e ci siamo rimasti fino a che non siamo risaliti sul bus verso porto iguazu. Ero completamente fradicia ma i piedi li avevo al caldo.
No dai, iguazu è una figata.
Non posso dire lo stesso dei due uomini che erano con me, i due francesi. Purtroppo non parlano molto bene lo spagnolo e ancora meno lo capiscono, molte volte fanno fatica a capire anche me con il risultato che loro due passano delle piacevolissime ore conversando dei loro “uè se sa sé asì se pa vrè” e io non capisco una cippalippa, e quando provano a dire qualchecosa in castigliano fanno commenti sul tempo o domande idiotissime come fa l'
hombrecito, che mi chiede come mai l'albergo non sia pieno o se la stufetta che c'era nelle stanze facesse solo luce o anche caldo. Ah si perchè poi siam dovuti andare in un residencial carissimo e anche abbastanza merdoso, perchè non si fidavano di andare in un ostello con gente sconosciuta. Vabè.
Il giorno dopo siamo andati in Brasile e il timbro che ho sul passaporto è la prova inconfutabile che abbiamo attraversato la frontiera. Foz de Iguazu in inverno di domenica con la pioggia è più triste di Liettoli in dicembre con la nebbia. Così abbiamo attraversato la frontiera, siamo scesi dal bus, abbiamo camminato per una cuadra, siamo ritornati alla stazione dei bus e siamo ripartiti in direzione Puerto Iguazu. Il tutto nel giro di un'ora.
Fantastico.
Abbiamo pranzato in un ristorante abbastanza lussuoso e io e l'
hombre (detto anche dos puñetas) abbiamo preso uno di quei pesci con i nomi strani che ci sono anche nel Paranà, che alla fine sono anche buoni. Ci siamo concessi un'ultima tappa di lusso prima di ritornare al barrio, così tanto per ricordarci da dove veniamo e cosa non vedremo per un altro mese almeno.
Prima di ripartire siamo andati a vedere l'aripuca, che da quanto ho capito è una trappola per uccelli che usano gli indios guaranì, ma quest'aripuca qua è fatta con tronchi di alberi praticamente millenari della selva misionera, ed è enormissima. Solo che non ho capito a cosa serva. Attorno a sta aripuca ci sono un altro paio di costruzioni tipiche guarani e un piccolo mercato di artigianato indio. Inoltre, c'era una famigliola di indios che cantava ininterrottamente una canzone tradizionale (credo) e un altro vecchino dentro a un tronco enorme che suonava il violino. E' stato molto triste come spettacolo.
Il bello di questa giornata è stato l'incontro con la proprietaria di un negozio di tessuti che abbiamo conosciuto andando verso il terminal di bus. Avevo adocchiato il suo negozio fin da venerdì sera perchè esponeva dei ponchos bellissimi, molto più belli di quelli che vendevano i negozietti di souvenir. Così oggi ci sono ritornata per fare un po' di spese per me e mia mamma, e siccome ero molto indecisa su cosa prendere, la sosta è durata per un bel po'. Così abbiamo iniziato a chiacchierare con la padrona e suo marito, e abbiamo scoperto che la signora è di Posadas e che ha iniziato la sua attività proprio grazie al microcredito di jardin de los ninos. E' stato un incontro pazzesco, uno di quei momenti in cui uno si chiede perchè certe cose accadono e perchè accadono in una determinata maniera. La signora in questione mi ha raccontato che ha iniziato a tessere seguendo i corsi al centro educativo (così mi pare d'aver capito) perchè si trovava in un periodo della sua vita molto buio: stava cercando di uscire da una forte depressione dovuta a due operazioni al cervello che aveva subito, a causa di un aneurisma e di una malformazione venosa.inoltre,le hanno trovato un altro aneurisma sul lato sinistro, ma ha deciso di non operarsi e di lasciare che il destino segua il suo corso. Nel frattempo si è cercata una passione e una ragione per andare avanti, e lei l'ha trovato nella tessitura artigianale....quando le ho raccontato cosa avessimo in comune ci son venuti i lucciconi a tutte e due e per qualche secondo siamo rimaste in silenzio ad osservarci reciprocamente e ad osservare quanto sia assurda la vita a volte. Ora la sua attività è molto ben avviata e non beneficia più del microcredito perchè le risulta scomodo recarsi a Posadas (son 300 km iguazu-posadas), però si è trasferita a Puerto Iguazu per ingrandire la sua attività e aumentare le vendite, e ora vende anche all'estero e spedisce le sue opere in lana merinos e di lama perfino in Norvegia.
Senza dubbio questa piccola parentesi nel negozietto di ponchos ha risollevato le sorti di due giorni un po' così, senza arte ne' parte, ne' carne ne' pesce, non zuppa ma sicuramente pan bagnato.

lunedì 12 luglio 2010

strani giorni


Ci sono un po' di cose che non capisco, di quelle che starei studiando.
In questi giorni ho conosciuto una ventina di microimprenditori. La maggior parte di essi lavora in un cosiddetto kiosco: un micronegozietto, un minibazar, un alimentari, una specie di pakistano per capirsi. A volte questo kiosco è un vero e proprio negozio, con scaffali, reparto macelleria e tutto, altre volte è ricavato da una stanza della casa del commerciante, altre si tratta di uno spazio antistante la casa magari coperto da un tetto.
I microimprenditori usano il microprestito per fare microinvestimenti per il loro negozio, comprano merce da rivendere, ampliano il loro business praticamente. Tutti quelli che ho intervistato fino ad ora si dicono soddisfattissimi della loro esperienza, mi raccontano che la loro vita è cambiata in meglio ma non vogliono mai entrare in dettaglio. Alcuni mi raccontano che hanno cambiato la scuola dei loro figli e da una pubblica vanno a una privata. Mi dicono che possono comprarsi più cose, mangiare di più e meglio.
Allora, la prima cosa che non capisco è come fanno a campare, dal momento in cui nel giro di una cuadra (un isolato per capirci) possono coesistere tranquillamente 5 o 6 kioschi che vendono più o meno le stesse cose. Una di loro mi ha detto che sono molto solidali tra di loro, non si fanno concorrenza, si spartiscono i clienti e a volte vendono cose diverse. Altri però mi dicono che sanno che qualcuno li invidia e sparlano di chi riesce a migliorare le proprie condizioni di vita.
Resta il fatto che non riesco a capire come riescano a vendere così tanta roba a così tanta gente per riuscire a ripagare il debito, seppur piccolo. Perchè in sostanza le cose che vendono sono pasta, biscotti, tante bibite, dolci, ovviamente mate e mandioca, verdura pochissima, insomma, alcuni non vendono nemmeno la carne che da quanto ho capito fa parte dei pasti di ogni giorno perchè meno cara della verdura.
In poche parole vendono stronzate. Mi chiedo quindi da cosa siano composti i pasti di queste famiglie. Cosa mangino i bambini, con cosa facciano colazione. Le persone che vivono nel barrio non muoiono di fame, chi non lavora vive del sussidio statale. Il cibo nei kioschi non è economico. Chi vive qua mi dice di sì ma a me non sembra. Un pacco di riso e pasta può arrivare a costare un euro o poco più, un chorizo sempre un euro, un peperone rosso idem. Voglio dire zonta de qua e zonta de à va a finire che na spesa completa costa come in Italia, più o meno.
C'è un passaggio che mi manca. Lo stipendio minimo qui è di 200 euro e le famiglie son composte come minimo da 4 persone, di solito una madre e uno stuolo di figli dalle più disparate età.
COSA MANGIANO?COME MANGIANO? L'80% delle persone che vive nel barrio è evidentemente in sovrappeso, i bambini hanno la pancia e le donne sono sformate. Qui la gente mangia tanto e male. Perchè mangiano così?Non vorrei che questi quesiti apparissero più superflui di quello che sono, ma mi sembra che mentre da una parte si da la possibilità a queste persone di avere un commercio proprio e di uscire dal vincolo della povertà e della dipendenza dallo stato, dall'altra li si prende per la collottola e li si getta nel baratro del consumismo e della dipendenza dalle stronzate.
Non ho paura a camminare per il barrio da sola. Non porto mai soldi con me, il mio cellulare qui è inutile e il mio lettore mp3 in confronto a quello che potrebbe avere il mio possibile attentatore non vale un soldo di cacio. Molti dei tetti baracchette di legno sono sovrastati da enormi paraboliche e durante tutto il giorno, dalla mattina alla sera, potentissimi impianti stereo grandi come scania riversano in strada le fastidiosissime melodie tipiche del posto, ossia reggaeton e cumbia a tutta manetta. Ragazzetti di tutte le età deambulano per le strade magari senza scarpe ma con un cellulare a raggi fotonici che irradiano, ovviamente, musica tipo reggaeton e cumbia a tutta manetta.
Non capisco.
Molti giovani hanno problemi di alcolismo in precocissima età ma, su esplicita dichiarazione dei proprietari dei kioschi, si sa che i guadagni più sostanziosi si fanno il fine settimana con le bibite, perchè la gente si sfonda di birra e cocacola.
Mors tua vita mea?
Questo fine settimana ho superato una delle mie più grandi paure kaiakando placida sulle acque del rio paranà.
Credo sia stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Io e due dei tre francesi, l'hombre e l'hombrecito (il francese 37enne che per capirci è uno di quegli omuncoli che va in giro in polo dalle tonalità beige cacchetta a verde merdaccia, risvolto sui jeans e sto aspettando che sfoderi un marsupio in acetato – uno spasso d'uomo) ci siamo concessi un giorno da turisti e siamo andati a vedere le rovine gesuitiche di san Ignacio Minì, che si trova a circa un'ora di strada da Posadas. Non è rimasto molto delle costruzioni originali ma ciò che si può ancora vedere è impressionante. I resti della chiesa sono imponenti e rendono l'idea dell'impegno che i compagni di merende di Gesù ci mettevano per inculcare il verbo nelle testoline nere dei guaranì.
Al pomeriggio poi siamo andati a fare un'escursione in kaiak lungo il rio Paranà e come dicevo prima è stata una delle cose più fighe che abbia fatto in vita mia.
In verità prima di salire in barchetta mi stavo un po' cagando in mano perchè il rio non è che sia esattamente un fossato ed è notoria la mia fobia per l'acqua e per i fondali che non si vedono.
Invece dopo il primo quarto d'ora di terrore sono riuscita a rilassarmi, forse anche grazie al fatto che sono salita in barca con la guida e che praticamente ho fatto finta di remare per tutto il tempo.
La guida era un personaggio: Nelson, un ragazzotto biondo in bermuda e sandali da tettesko (tipo me) che assomigliava tantissimo a quel demente australiano che faceva i documentari in cui catturava a mani nude tutti i tipi di animali più pericolosi, che ha messo la testa del figlio dentro la bocca di un coccodrillo e che poi è morto colpito a morte da una manta (o da una razza non ho mai capito) e così ha finito di rompere i coglioni e flora e fauna dell'emisfero australe. Insomma sto Nelson era una sagoma ed è stato estremamente galante perché non ha fatto commento alcuno sul fatto che nonostante mi affannassi a gettare il remo a destra e a manca non riuscivo a spostare un cm cubo d'acqua e praticamente remava solo lui. Mi ha raccontato che ha comprato un appezzamento di terra da regalare agli aborigeni perchè si costruissero una casa come dio comanda. Effettivamente durante il tragitto in jeep per arrivare al fiume siamo passati davanti a diverse baracche in stile miseria e in questa zona ci abitano proprio gli indios, non solo i morochos.
Mi sono sentita un po' a disagio per questo.
Il Paranà divide l'Argentina dal Paraguay. Quando ci siamo resi conto di questo i due hombres si son messi a remare come dannati per raggiungere la sponda paraguaya (non ci sono controlli) ma il loro entusiasmo è stato smorzato dal richiamo del nostro amico Nelson. In pratica le sponde del versante paraguayo sono terriotorio di contrabbandieri e di coltivazione di mariuana. C'era un 4x4 sulla sponda e secondo l'hombrecito era sicuramente il 4x4 di un contrabbandiere.
Volete sapere che pesci ci sono nel Paranà? Ci sono pesci commestibili dal nome impossibile da ricordare tipo tarabà iruquì etceterà, poi ci sono i caimani e ATTENZIONE anche i piraña.
La prospettiva che uno ha quando si trova in mezzo al fiume è spettacolare: attorno c'è una vegetazione fittissima e selvaggissima, alti costoni di terra rossa e corvi grossi come mucche. Il cielo era azzurrissimo e non so perchè ma avevo come l'impressione che fosse più grande di quello che sono abituata a vedere. E silenzio, tanto silenzio, perfino gli animali stavano zitti.
Dopo la gita in barca siamo andati a fare una passeggiata in mezzo alla selva accompagnati dal padre di Nelson che pensate un po', si chiamava Nelson pure lui. Sto vecchino aveva l'agilità di uno stramaledetto stambecco ed era quasi impossibile stargli dietro. Nelson Senior sapeva un sacco di aneddoti sui nazisti scappati in Argentina e sugli ebrei che gli davano la caccia, ci ha raccontato anche un sacco di storie sulle navi che partivano dall'Europa cariche di immigrati italiani polacchi ucraini francesi e tedeschi. Lui aveva un po' tutte queste origini. Ci ha portati anche a vedere la casa di Martin Borman, una vecchia volpe tetteska che per scappare dagli ebrei un po' incazzati si era rifugiato in mezzo alla selva e si era costruito una casa di pietra. Poi è riuscito a scappare e non si sa dove sia.
Durante il cammino abbiamo incontrato una grassona demente che con tutto ciò che poteva commentare circa l'episodio di Borman è riuscita a dire che questo pover uomo deve aver fatto proprio una vita triste, tutto solo in mezzo alla jungla senza nessuno con cui fare due chiacchiere.
Alla sera dopo l'escursione siamo tornati alle rovine per vedere uno spettacolo di luci suoni e ologrammi che raccontava la storia delle missioni gesuitiche. Carino, in pieno plan turistico però è stato emozionante entrare nelle rovine di notte, il cielo era limpidissimo e si vedevano un sacco di stelle.
La giornata da turista è stata come una boccata d'aria fresca. Da due settimane praticamente non uscivo dal barrio e cominciavo ad aver voglia di vedere qualcosa di diverso. Avevo,anzi avevamo, anche un po' voglia di staccare, perchè per quanto consci del fatto che stiamo vivendo probabilmente l'esperienza più allucinante della nostra vita, facciamo fatica ad abituare le nostre retine alle scene di ordinaria follia a cui assistiamo praticamente ogni giorno.

martedì 6 luglio 2010

altri giorni

Sono qui ormai da dieci giorni. In questi giorni ho visitato i barrios dove lavora l'associazione, che sono il barrio seisquincentenario, dove sto io, il barrio san jorge e santa cecilia.
In questi barrios ci sono sia casette in muratura sia casette di legno, tipo baracche per capirci. Nei barrios gli allacciamenti ad acqua e corrente sono al 90% abusivi, e molte volte è così perchè anche volendo essere in regola non sarebbe possibile perchè il comune non fa gli allacciamenti nei barrios.
Ovviamente non c'è una rete fognaria eccellente, così succede che quando piove travasa tutto per strada o nelle case.
L'acqua che si beve nei barrios è potabile ma contaminata. O meglio, è potabile ma non per tutti, per lo meno non per me. Ed è contaminata perchè la falda è poco profonda e si infiltra inquinamento e scarti di un mattatoio che è in zona, in più quando ci si lava sembra di essere sempre insaponati e resta anche sui piatti un perenne straterello di grasso. E' bellissimo!
Prima dicevo che l'acqua è potabile per tutti ma non per me, e nemmeno per gli altri europei, perchè non siamo abituati a bere questo tipo di acqua. Beh insomma, l'altra notte ho passato dei bruttissimi quarti d'ora in bagno, perchè a quanto pare non posso berne nemmeno una gocciolina, figuriamoci un tererè con ghiaccio. Mi è venuta pure la febbre e ho pensato seriamente di essermi presa qualcosa di brutto. Spero di no insomma.
Ho conosciuto anche tantissime persone che lavorano per l'associazione.
Ecco, ora si aprirà una piccola parentesi spinosa. Nella mia vita non ho avuto moltissimo a che fare con gli operatori del settore. Non molto ma non vuol dire mai, voglio dire che per questo questo e quest'altro motivo sono dovuta entrare in contatto con i servizi sociali etc, e ogni volta che ho avuto occasione di incontrare qualcuno tipo.....ehmehm...un assistente sociale (a volte anche figure tipo psicologi e altri tipi di professionali) me ne sono sempre andata con non poche perplessità. Quello che non mi convince di queste persone è che credo che non abbiano mai ben capito con chi abbiano a che fare. Ossia, credo che conoscano perfettamente le metodologie di approccio ad ogni tipo di situazione più o meno complicata a cui devono far fronte durante il loro lavoro, son sicura che abbiano ben chiara la situazione con cui si scontreranno, ma non il fatto che dentro a questa situazione ci sono delle persone. Tante persone, ognuna maledettamente diversa dall'altra e con diversissime necessità e che impongono, assolutamente impongono ognuno un distinto metodo di approccio.
Ho sempre visto i “professionisti” che entravano e uscivano dal Selleri, le logopediste e le psicologhe con cui ha a che fare mia mamma, e tanti, troppi assistenti sociali, troppo calati in un ruolo. Non so bene come definire questo ruolo, direi che ho come il timore che queste persone si considerino come una specie di deus ex machina, esseri iperdotati che con il semplice apparire sono in grado di sistemare qualsiasi casino di qualsiasi entità.
Io sinceramente ho sempre visto accumulare danni su danni. Ho visto lavoratori instancabili troppo coinvolti nel loro lavoro e li ho visti esplodere, frantumarsi in mille pezzettini per terra e ho visto quelli che subentravano dopo di loro planare a terra su di una scopa volante e come per magia spazzare via tutte le bricioline di chi veniva prima di loro.
Ho visto gente per nulla coinvolta, fresca di laurea, gente che arriva con un fogliettino con dei punti scritti, elenchi di cose da fare, ordini del giorno, un ordine ferreo da seguire durante ogni incontro e li ho visti incavolarsi e considerare l'incontro un insuccesso, perchè durante il dibattito si era usciti dal seminato.
Ho visto gente frustrata, tanta, riversare i propri problemi sopra a quelli degli altri, li ho visti smadonnare cercando il bandolo della matassa dei disagi altrui facendo solo danni, attorcigliando i fili e creando altri nodi per poi, annoiati, gettare via lana fili e tutto.
Ho sentito gente dire “parlatemi del vostro disagio” e imporre una propria inutilissima definizione di disagio.
Io ho serissimi dubbi sull' efficiacia dell'intervento di questo tipo di persone. Non voglio lanciare giudizi ne' dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e come dovrebbe essere perchè in realtà non ne ho la minima idea. La mia è solo una riflessione molto generica sulle mie personali esperienze.
E' che a volte mi chiedo cosa stiano facendo queste persone. Se si rendono conto di cosa stanno dicendo, di dove vanno, di come si atteggiano, se si rendono conto che davanti a loro non si sta costruendo una strada spianata ma un sentierino contorto e in salita.

Qui è estate, anche se dovrebbe essere inverno. Fa caldo, ci saranno 25 gradi e la mia giacca a vento giace inutilissima come il fango dentro all'armadio della mia stanzetta.
Quando non ho il cagotto, vado e vengo dal centro educativo nel barrio san Jorge. Lì incontro le chicas dell'ufficio microcredito. Mi hanno dato un bel po' di info sul progetto di microcredito di jardin e ora sto riordinando e finalmente scrivendo. L'unico aspetto che mi ha un po' deluso è che i prestiti vengono concessi solo a persone che hanno un'attività da più di un anno, ossia che il prestito non viene elargito a chiunque voglia rifarsi una vita, ma solo a chi ne ha una già avviata. Le chicas mi hanno spiegato che è così per avere qualche garanzia in più che il credito rientri, probabilmente non ci sono abbastanza fondi per affrontare una situazione più rischiosa.
Vabè.
I miei compagni per ora sono una ragazza e un ragazzo francesi, Manu e Vincent, detto el hombre. Manu ha 20 anni y el hombre 20. Se fossimo in erasmus farebbero parte del gruppo dei rubios probabilmente, ma siccome non siamo in erasmus ma al nord del sud, tutti e tre qui formiamo parte del grupo dei polacos.

domenica 4 luglio 2010

primi giorni

Dai ci proverò a tenere un diario. Non posso iniziare dal primo giorno, cioè esattamente dal giorno in cui sono partita. Cioè sì che posso, ma devo riassumere.

Allora, data di partenza: un giorno qualsiasi dell'ottobre dell'anno 2006. o addirittura prima?non me lo ricordo. Voglio dire che sognavo di compiere questo viaggio da molto tempo, da quando ho conosciuto Jardin durante una serata di beneficenza al Portico.

Ho fatto anche i corsi di preparazione alla partenza e tutto, ma non ho mai avuto abbastanza soldi per prendermi il biglietto aereo.

Non li ho nemmeno adesso sia chiaro, se non fosse per la borsa di studio non sarei qui nemmeno ora.

Vabè insomma, ho idea che praticamente tutti quelli che stanno leggendo sanno dove sono e cosa sono venuta a fare, quindi non entrerò nei dettagli del progetto, non ora. Insomma non ho voglia.

Son partita il 23 giugno con destinazione Buenos Aires. Durante l'attesa per il check in ho avuto modo di fare due chiacchiere con uno scheletro che tenevo ben nascosto in un armadio chiuso a chiave saldato col flessibile stuccato con la calce e sotterrato giù nel centro della terra. E niente, avrei fatto meglio a saldarmi la bocca.

Vabè.

Il mio volo ha fatto scalo a Madrid, dove è arrivato con un'ora di ritardo. Una volta lì, e considerando che il volo per Buenos Aires sarebbe partito 45 minuti dopo, ho attraversato correndo carica come una mussa tutto l'intero aeroporto, scoperto che non avevo la carta d'imbarco per il secondo volo, quindi: sono scesa al piano inferiore, ho fatto il check out, son salita di nuovo, rifatto il check in, rifatta la perquisa, buttato via l'acqua che avevo comprato dentro all'aeroporto di Tessera, fatta venire le vesciche ai piedi, comprato un adattatore che non serve a niente in Argentina, fatto mezz'ora di coda e finalmente, son salita in aereo.

Miracolosamente durante il decollo non sono morta, e neanche durante l'atterraggio.

Durante il volo nemmeno. La mia vicina di poltrona era una tizia che era stata due settimane in Francia per una festival di animaciòn, che non è un festival di animazione, come ho pensato fino a mezz'ora prima di arrivare a Buenos Aires, ma un festival di cartoni animati, in poche parole. La tizia in questione era un bel po' frichettona, forse di quelle che mi stanno un po' sul cazzo, però è stata gentile con me, mi ha aiutata ad uscire dall'aeroporto senza che mi succedesse niente di drammatico e abbiamo condiviso il taxi (con sua madre) fino al quartiere Palermo, dove sarebbe dovuto essere l'ostello. La corsa in taxi è costata 110 pesos. Una volta scese, in totalissimo stile frik, la tizia mi ha detto “venga, yo te doy 50 y tu pones 60, vale?”, sì valeva, ma non ho capito perchè. Comunque, era stata gentile e non mi son messa a questionare. Così però abbiamo saldato il debito e la birra che le dovevo dileguossi.

La prima big surprise che Buenos Aires mi ha riservato è stata quella di farmi trovare l'ostello che avevo prenotato chiuso.

Per fortuna non ero la sola in quella situazione, con me c'erano due tizi francesi che probabilmente avevano trovato l'indirizzo nella Lonely Planet, come avevo fatto io.

Fu così che capitai nell'ostello affianco, il Sohostel. Il bastardo mi è costato il doppio, 135 pesos, però mi sono trovata benissimo. C'è anche da dire che ho fatto un po' la fighetta e mi son presa una stanza singola con bagno. Non ero mai stata in ostello, ma questo mi sembrava di averlo già visto. O per lo meno di averlo sognato o di aver letto la sua descrizione. Il Sohostel si sviluppa su tre piani, al piano terra c'è solo la porta d'entrata e un giro di scale, al primo ci sono la reception, dove mi ha accolta un certo Micha, dall'espanol un poco incerto, la cucina, 5 stanze con i letti a castello e i bagni. Di sopra poi c'è una terrazza con una zona coperta con divani e tv, una parrilla e due stanze, una era la mia e un'altra doppia dove alloggiavano una mamma con la figlia.

http://www.sohostel.com.ar/

A Buenos Aires ci sono rimasta solo una notte. Il primo giorno ho fatto una passeggiata per il quartiere, e mi è sembrato di essere in Spagna ma senza spagnoli, cioè con meno delirio. Il secondo giorno ho fatto la cazzata di andare a fare un giro con un tipo brasiliano e uno venezuelano che avevo conosciuto in ostello. Il secondo era tranquillissimo, mentre purtroppo il brasiliano era anche lui uno di quei semifrik che si guadagnano la vita facendo lavoretti dell'ostia e che hanno girato tutto il mondo ma che ancora non hanno capito che quando si cammina per strada si guarda a destra, a sinistra, sopra e sopratutto sotto, per non pestare le merde dei cani. Insomma sto boludo ci ha portati a vedere la zona del porto, che, con tutto rispetto per fascino di Buenos Aires, non ha molto di interessante da vedere. Poi siamo andati a San Telmo, un quartiere molto bello, a mangiare carne alla parrilla strabuona e a fare un giro per mercatini dell'antiquariato. Ah, pure lui, in stile superfrik, al momento di pagare il conto ha voluto dividere per tre servizio birra e patate fritte, ma la carne no e così lui ha pagato di meno perchè aveva preso costine e non bife.

Se il tizio mi avesse conosciuto anche un'ora di più, non avrebbe mai rischiato quello che ha rischiato venerdì scorso. Lo stesso giorno dovevo prendere un pullman per Posadas e lui avrebbe dovuto incontrare un ragazzo di Haiti che voleva aiutare a passare la frontiera per ad andare in Brasile. Quindi, secondo il programma, saremmo dovuti tornare in ostello alle 17, a tempo per fare tutto con calma. Il muy boludo invece, ci ha fatti finire (conosceva Bsas a detta sua) in un quartiere molto poco simpatico perchè voleva a tutti i costi che prendessimo l'autobus per tornare in ostello, così avremmo potuto vedere la città. Ma erano le cinque passate, eravamo stanchi e io avrei tanto voluto togliermi i calzini che avevo in bocca prima di affrontare un viaggio in bus che sarebbe durato 12 ore. Ma non c'è stato verso di smuoverlo, e solo dopo che io e il venezuelano gli abbiamo masticato le orecchie siamo riusciti a convincerlo ad andare a prendere la metro. Totale, siam tornati alle sei e dopo 20 minuti il dueño dell'ostello mi ha portata alla stazione di Retiro, dove avrei preso il bus per Posadas.

Per inciso, qualcuno sa qualcosa del povero stronzo di Haiti?

Nonostante quindi questi piccoli imprevisti i due giorni a Bsas sono stati rilassanti, in ostello c'era muy buena onda e Marco, il proprietario, si è dimostrato gentile e disponibile. Non ho patito molto durante il viaggio in pullman. I minibus che fanno viaggi così lunghi sono molto comodi, servono da mangiare e il cibo è decisamente migliore di quello che servono in aereo. Ci hanno dato anche la colazione. Persino gli steward di bordo erano molto simpatici. Simpaticissimi. Così simpatici che uno di loro mi ha presa per il culo per tutto il viaggio perchè l'Italia è uscita dal mondiale. Ma d'altronde mi ci sono abituata, perchè è da quando sono arrivata che la formula standard per presentarsi è “de dónde eres? Italia. AAAAh ya se fueron del mundiaaaal”.

Il viaggio in bus mi è piaciuto tantissimo. Ho viaggiato di notte, ma c'era luna piena e si vedeva tutto perfettamente. Il tutto di cui sto parlando è il nulla più assoluto. In 1300 km non ho visto anima viva, una casa, un animale, nulla, solo terra e campi e alberi e piante ed erbaerbaerba tantissima erba.