martedì 19 aprile 2011
triste verità
lunedì 10 maggio 2010
cazzo.
Credo sia tremendo.
Mi strazia l’idea di qualcuno chiuso dentro a quella stanza mezzo morto di tristezza. Tutto solo.
Oppure è come una giostra. Quando ero piccola e andavo alle giostre salivo su quella con le bestie che giravano e il tizio lì faceva penzolare una coda rosa sopra ai bambini che giravano e bisognava acciuffarla per vincere un premio. Non ce l’ha mai fatta nessuno, giostraio del cazzo.
Ecco forse è così. Una cazzo di giostra per bambini del cazzo con le code del cazzo che penzolano. Non fatemi parlare del giostraio perché in questo caso il giostraio del cazzo chissà dov’è finito.
Che cazzo di condanna è questa, qualcuno me lo sa spiegare? Chi cazzo può essersi inventato una penitenza del genere?E’ peggio dell’essere muti. Una strada o è sbarrata o non lo è. O è percorribile o non lo è. Non è una cosa che può andare a momenti.
E’ che ormai ho smesso di chiedermi se la giostra del cazzo si può fermare, o se si può scendere, anche in corsa, anche a rischio di farsi male.
No, non si può fare niente.
Io non posso fare niente.
Posso solo stare a guardare questa merda di giostra del cazzo che gira all’infinito, mi tocca buttar via zucchero filato e i biglietti della pesca per far cosa poi?
Stare a guardare. Stare a guardare e basta. Senza coda ne’ niente da lanciare.
lunedì 15 marzo 2010
la mia puntata di scrubs
Quando è successo quello che è successo ho temuto di non riuscire più a vedere nessuna serie televisiva di quelle girate negli ospedali. Tipo e.r. o scrubs. Mi ricordo che una ventina di giorni dopo il 4 giugno 2009 io e mio papà abbiamo visto una puntata (di quelle delle prime serie) di e.r. e durante quella puntata c’era qualcuno nonmiricordochi che aveva un’emorragia cerebrale. Quando il medico nonmiricordoneanche spiegava cos’era successo al parente della vittima in questione, mi sforzavo di trovare conferme in quello che i medici avevano detto a noi (e in quello che avevo letto su wikipedia). Per fortuna combaciava tutto.
Per fortuna nel senso che così era palese che a mia mamma non fosse successo niente di più o niente di diverso rispetto a quello che aveva avuto la persona nella puntata di e.r. e questa cosa mi faceva sembrare il tutto più tollerabile.
Comunque ho fatto fatica ad arrivare alla fine della puntata.
Con scrubs però è diverso. A parte che è la miglior serie al mondo e che tutti dovrebbero vederla, nella serie in questione ogni piccolo dramma oggetto delle puntate è interpretato e rappresentato con estremo cinismo e ironia, anche con un po’ di sadismo, anche quando i protagonisti parlano delle patologie dei pazienti. Mi ci ritrovo molto. Alla fine bisogna sopravvivere e per sopravvivere credo sia il caso di esorcizzare (occhio, non sdrammatizzare) le proprie angosce , e ognuno deve farlo come meglio crede.
A volte faccio delle uscite davvero feroci quando parlo di questa storia, cazzo mi faccio ridere da sola ma a volte non mi rendo conto che il mio interlocutore può sentirsi in difficoltà. In verità è anche questo l’aspetto divertente della cosa, cioè mettere nell’imbarazzo più imbarazzoso quella persona che, parlando con me di mia madre, non vuole ne’ commiserarmi ne’ essere insensibile. E’ facile mettere in difficoltà la gente. Tipo quando mi dicono “ma va in mona de to mare” (di solito il gelo cade dopo un nanosecondo) mi piace rispondere con “eh poretta….”.
Oh è successo anche a me di fare ste gaffe demmerda, adesso mi diverto io. Farsi troppe paranoie è inutile, preferisco la schiettezza ma non sopporto chi fa finta di capire. E non sopporto neanche chi se ne sbatte totalmente.
Chi fa finta di capire son quelle persone che all’occorrenza se la telano, o che mi ritorcono contro il fatto che non riesco a rilassare i nervi, a sbloccare i muscoli o a essere sempre pronta a fare la oyeahsimpatica. A ma pareva chiaro che fosse per un motivo ovvio e mi secca tantissimo doverlo ricordare a volte, anche perché mi sembra di utilizzare questa sfiga come un attenuante per giustificare la mia irritabilità, quando invece forse, ma forse, ne è semplicemente la causa.
Quelli che invece se ne sbattono o si ripuliscono la coscienza con un “come sta tua mamma” ,e solitamente lo fanno in una situazione totalmente inopportuna, mi fanno stare male.
Mi fanno stare male perché sono sempre (beh ovviamente) persone che mi conoscono bene,che stanno a stretto contatto con me e dalle quali non mi sarei aspettata un simile comportamento. Sono persone che scelgono (io credo sia così) di ignorare tutto in modo da non potermi giustificare mai, e cadono in fallo poi quando pretendono da me comprensione perché oggi al bar qualcuno gli ha rubato l’ultimo panino col salame.
Quello che è capitato mi ha catapultato in una specie di limbo in cui non so chi sono e come mi sto comportando.
Sento che ora, meno di sempre, riesco a sintonizzare le mie frequenze con quelle degli altri. E temo che per me sarà sempre più difficile poterlo fare. Sarà sempre più difficile far capire a chi mi sta attorno che dentro la mia testa ci sono settemilamiliardi di scadenze che bisogna rispettare e che per lo meno per il 50% non riguarda direttamente la mia vita ma che influenzano il restante 50% di scadenze che ovviamente, hanno a che fare con l università. Faccio fatica ad accettare ed a esternare il fatto che tra i miei disorganizzatissimi emisferi la comunicazione avviene in maniera fallace e intermittente. Sono sempre più convinta che le conseguenze di un trauma cerebrale possano essere trasmesse a chi sta attorno al cerebroleso (uuuuuu il parolone) anche perché non è una cosa che riguarda solo me (puntinipuntinipuntini).
Credo che sarà sempre più difficile sincronizzare le mie frequenze con quelle del mondo.
Ed ho il fondatissimo timore che se le cose continuano così la mia inquietudine sarà infinita.
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martedì 10 novembre 2009
Citava, per cominciare, l'articolo di un giornale a proposito della facciata di una chiesa di campagna cui era stata affissa l'insegna luminosa di una marca di birra. L'edificio era stato venduto ed era stato trasformato in un bar. Qualcuno si era lamentato con le autorità ecclesiastiche, e il prete incaricato di rispondere alle critiche si era mostrato piuttosto irritato. Ai suoi occhi, l'episodio rivelava quanto fosse grande l'ignoranza a proposito di cosa fosse veramente una chiesa. S'immaginavano forse i fedeli che una chiesa consistesse in assi, mattoni e vetrate? Sotto le spoglie della devozione si celava qui un esempio di quel materialismo che la Chiesa combatte tanto. L'edificio era stato sconsacrato e quindi il problema non sussisteva.
Fedro disse che la stessa confusione esisteva a proposito dell' Università. L'Università vera non è un oggetto materiale. Non è un insieme di edifici che può essere difeso dalla polizia. Fedro spiegò che quando un College perde il riconoscimento accademico nessuno viene a chiudere la scuola, non ci sono sanzioni legali ne' multe, ne' condanne. Le lezioni non s'interrompono. Tutto continua esattamente come prima. La vera Università si limiterebbe a dichiarare che questo posto non è più "consacrato". La vera Università svanirebbe da quel luogo, lasciandosi dietro soltanto libri e mattoni: la sua mera manifestazione materiale.
Questi concetti dovettero risultare piuttosto strani agli studenti, e immagino che Fedro abbia dovuto aspettare a lungo che le sue idee facessero presa, per poi dover aspettare ancora prima che gli chiedessero: "Cosa pensa che sia la vera Università?".
I suoi appunti rispondono alla domanda così:
La vera Università non ha un'ubicazione specifica. Non ha possedimenti, non paga stipendi e non riceve contributi materiali. La vera Università è una condizione mentale. E' quella grande eredità del pensiero razionale che ci è stata tramandata attraverso i secoli e che non esiste in alcun luogo specifico; viene rinnovata attraverso i secoli da un corpo di adepti tradizionalmente insigniti del titolo di professori, ma nemmeno questo titolo di fa parte della vera Università. Essa è il corpo della ragione stessa che si perpetua.
Oltre a questa condizine mentale, la "ragione", c'è un'entità legale che disgraziatamente porta lo stesso nome ma è tutt'altra cosa. Si tratta di una società che non ha scopi di lucro, di un ente statale con un indirizzo specifico che ha dei possedimenti, paga stipendi, riceve contributi materiali e di conseguenza può subire pressioni dall'esterno.
(...)
La gente che non riesce a vedere questa differenza, disse Fedro, e crede che il controllo degli edifici della Chiesa implichi il controllo della Chiesa stessa, considera i professori semplici impiegati della seconda Università, che dovrebbero rinunciare alla ragione a comando e ricevere ordini senza discuterli, come fanno gli impiegati delle altre aziende.
(...)
Il fine ultimo della Chiesa della Ragione, disse Fedro, è rimasto quello socratico della verità nelle sue forme eternamente mutevoli, una verità che ci viene rivelata dai processi razionali. Tutto il resto è subordinato a questa ricerca. Normalmente questo fine non è in conflitto con quello che si propone la sede legale dell'Università, e cioè di migliorare lo spirito civico, ma talvolta sorgono dei conflitti (...)
E il conflitto sorge quando amministratori e legislatori che hanno dedicato tempo e denaro alla sede dell' Università maturano convizioni opposte a quelle espresse dai professori. Allora possono far pressione sull'amministrazione, e minacciare il taglio dei fondi.
IL FINE ULTIMO DEI PROFESSORI, PERO', NON E' MAI QUELLO DI SERVIRE PRIORITARIAMENTE LA COMUNITA', MA DI METTERE LA RAGIONE AL SERVIZIO DELLA VERITA'.
Robert M. Pirsig: Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, pagg 149 151, Adelphi 2009
giovedì 17 settembre 2009
La grande avventura
In ogni avventura che si rispetti, ci sono un sacco di personaggi; tutti i personaggi delle avventure si dividono in due categorie: i buoni e i cattivi.
Nell’avventura che sto per raccontare però, ci sono i buoni i cattivi e gli incompresi, cioè quelli che non si sa in che categoria includere.
L’avventura che ora vi racconto inizia dalla fine, cioè dalla prova più grande: sopravvivere. Superata la prova della morte, ci sono altre mille prove che il protagonista deve affrontare: prove fisiche e prove d’intelligenza.
Le prove fisiche richiedono costante impegno e incredibile tenacia: il corpo dell’eroe, catapultato da un giorno all’altro in un mondo fantastico pieno di mostri alabarde e streghe e nani buoni e cattivi e incompresi, non è abituato a tanto sforzo. Il protagonista si deve preparare a superare le prove più dure: sollevamento pesi, resistenza, agilità ed equilibrio.
Le prove d’intelligenza invece sono molto più complicate: si tratta di indovinelli e trabocchetti, indovinare parole e nomi di persone e cose senza il minimo indizio, in alcune prove bisogna rispondere a domande le cui risposte potrebbero sembrare scioccamente ovvie, ma alle quali è praticamente impossibile rispondere in un momento di forte agitazione, ma d’altronde quale eroe vorrebbe mai trovarsi in una situazione del genere? Chi mai vorrebbe trovarsi così, inerme senza la minima preparazione, ad affrontare una tale quantità di prove? Io credo nessuno. Ma a volte le avventure che si vivono non si possono scegliere.
Io però, nel narrare questa avventura, preferisco lasciar tranquillo l’eroe, che la sua avventura se la sta vivendo tutta senza esclusione di colpi e ce la sta facendo alla grande.
Io per ora preferisco parlare dei personaggi. Non saprei se iniziare dai buoni o dai cattivi. O dagli incompresi.
Anzi facciamo così, inzio dalla fine e procedo in ordine di apparizione.
L’amico sfuggente del papà: questo piccolo personaggio curioso non so se inserirlo nei buoni e nei cattivi, ecco quindi che ci troviamo subito ad avere a che fare con un incompreso. Nessuno è mai riuscito veramente a capire a chi si riferisse il papà nominando l’amico sfuggente, perché di “quello piccolo, abbronzato, con gli occhialetti e i capelli corti” ce n’erano due. L’abbronzatissimo amico sfuggente del papà, credo, è quello che ha dato inizio al gioco. Fu lui ad avvisarci del fatto che l’avventura era iniziata e che la prova più grande avrebbe avuto inizio quella notte in cui lo conoscemmo. Già, perché la prova più grande ha avuto la durata di 25 giorni. Eh oh, è una prova grande.
E’ per questo che non ci è tanto simpatico. Bisogna anche dire però che ce ne sono di più antipatici di lui da descrivere, quindi facciamo che si è giocato il jolly e fa parte degli incompresi.
Il dott. Conti: eh, lui sì che sa dissimulare la nobiltà che gli conferisce il suo titolo. Lo dissimula così bene che con quel pancione fasciato dal camice candido e trasportato dai suoi zoccoli immacolati potrebbe assomigliare più a un macellaio che a un dottore. Però non ha sbagliato un colpo ed ha aiutato l’eroe a superare la prima prova. Quindi si merita di far parte di quelli buoni.
Ma Conti è strano.
Conti non ha mai capito una battuta. Non l’ho mai visto sorridere. Mai visto ridere. Anzi sì, ma non ho capito perché. Conti non ha mai detto una parola in più ne’ una in meno. Conti parla come wikipedia .
Ho quasi il sospetto che Conti non sia un personaggio umano, ma umanoide, perché non ho mai intravisto nel suo sguardo l’ombra di un sentimento. Conti non sente la stanchezza, per lui i turni di lavoro non esistono, il lavoro dà vita e le ferie che si fottano. Se hanno chiamato lui nonostante fosse in vacanza da un giorno è perchè "eh, era urgente", che domande.
Credo che Conti non abbia impulsi di nessun tipo. Me lo sono immaginato una volta, come si sarebbe comportato in una situazione del tipo: Conti ha davanti una donna nuda, a gambe aperte. Il perché della nudità della signorina dovrebbe essere intuibile ai più, ma il dottore, dopo un’attenta valutazione della situazione, e considerata la drammaticità della stessa, probabilmente non cercherebbe neppure lo sguardo dei suoi assistenti e guardando a terra con un’espressione che significa “go visto de pezo” sentenzierebbe “suturiamo”.
Mortisia: alias il dottor Violo. L’uccello del malaugurio. Lui siiii che ama complicare le situazioni! Come ci si fa a fidare di un personaggio sibillino che quando trasmette le informazioni non guarda negli occhi e agita le ginocchia dentro e fuori in maniera compulsiva come se si stesse ventilando le balle?
Bah. Il papà lo vorrebbe mettere tra i buoni perché alla fine lui aveva trovato la chiave di volta per interpretare i suoi criptici messaggi, ma mettiamolo tra gli incompresi e sono anche troppo buona.
La dottoressa cattiva. La dottoressa cattiva è buona. Piccoletta tutto nervo, anche se ha tentato di tendere qualche tranello mettendo a dura prova la resistenza psicofisica dei sostenitori dell’eroe va messa tra i buoni per una questione di pathos. A quanto pare è mamma anche lei.
Il dottor tesoro. Bello lui. Ha dato a mio padre del gentiluomo e a me ha detto “tesoro” (aahhhhn….) ed è bello. Chiunque vorrebbe un personaggio così nella propria avventura, uno di quelli discreti ma che infonde sicurezza. Però per punizione va di corsa tra i cattivi.
Se la fa con la tipa sbagliata.
Il dottor Lazzari: a lui va il trofeo del più buono tra i buoni! Al dottor Lazzari piace un sacco l’arancione: i suoi occhi vispi e bonari sono circondati da occhiali dalla montatura arancione. Al collo ha uno sgargiante stetoscopio a raggi laser arancione, al polso porta un orologio che è un minicomputer arancione e ai piedi porta un fantastico paio di crocs arancioni alate. L’ultima volta che l’ho visto in testa aveva una cuffia arancione, di quelle che permettono di trasferirsi col pensiero da un posto all’altro senza muoversi, e senza avvisare, con sommo stupore di tutti.
Il dottor Lazzari ha un po’ la faccia da frate tac ma non è ciccione.
Il dottor Lazzari è magico ed è buono, davvero.
Lui è stato l’unico a riconoscere che “eh no, questo non è Pingu, questo è suo fratello, è più piccolo.”
La dottoressa stronza. Ah, nonostante sia stata catalogata per direttissima come iperkattiva, è un personaggio di cui adoro parlare. La dottoressa stronza è riuscita a sfiorare una denuncia per omissione di soccorso all’interno di una corsia di ospedale. La dottoressa stronza è figa. La dotteressa stronza è una di quelle che al bar chiede un decaffeinato d’orzo in tazza grande tiepido e macchiato latte di soia solo schiuma (e con sb**ra a parte nda -fredda, secondo mio fratello).
La dottoressa stronza in verità mi sta un sacco sui maroni perché a detta di molti se la faceva col dottor tesoro, perché li si vedeva sempre assieme.
Anche se mi secca tantissimo ammetterlo la tipa qua deve avere due palle cubiche, per essere arrivata dov’è ora. Il mondo della chirurgia è uno dei più maschilisti che esistano. Quindi BRAAAAVA BRAAAAVA dottoressa stronza, però mi stai sui maroni lo stesso.
Ah, nemmeno lei capisce le battute.
La Rosetta : la Rosetta è una carnefice, ma va tra i buoni. Infermiera iperfriulana dalla parlata indecifrabile, con gli accenti tutti storti e la facciona impallinata di lentiggini. Quando si sente arrivare la Rosetta non si sa se essere contenti o disperarsi. Ma forse, quello che si sarebbe dovuto disperare di più è Pingu.
Pingu: Lui è un buono, è il piccolo aiutante magico dell’eroe. Costato ben 18 euro in un negozio di giocattoli magici di Bologna non ha abbandonato l’eroe neanche un secondo. Un pinguino valoroso, di pinguini come lui ce ne sono davvero pochi al mondo. Ha affrontato tutte le prove assieme all’eroe ma l’unico vero ostacolo l’ha trovato quando ha incontrato la Rosetta, la sua aguzzina. La Rosetta è più grossa di lui e l’ha sopraffatto solo per superiorità fisica, non c’è altro motivo. Ogni qualvolta lei apparisse con i maroni un pelino più girati del solito, Pingu sapeva quale sarebbe stato il suo destino: sarebbe finito ad ali annodate dietro la schiena a fissare il muro in un angolo, E A PENSARE A QUÉLO CHE L’AVÉA FATO O DITO, PARCHÉ NO SE POLE ANDARE AVANTI CUSSÍ.
to be continued and modified...
mercoledì 8 aprile 2009
Convivenza
Dopo colazione siamo rimaste sedute un po’ a tavola, senza dirci nulla. Chissà se c’era qualcun altro a casa. Se c’era qualcuno probabilmente dormiva. Non ci guardavamo nemmeno, ho acceso la tv, probabilmente mi son sintonizzata su qualche programma del cazzo del lunedì mattina, sinceramente non mi ricordo. Volevo alzarmi, andare a lavarmi la faccia e vestirmi, ma lei, con la sua solita irritante, tediosa, snervante pigrizia, ha preferito rimanere seduta a tavola almeno un’altra mezz’ora. Cosa dovevo fare, sono rimasta con lei, in silenzio. Poi finalmente ha deciso, lei, che era ora di attivarsi e mi ha accompagnata in bagno. Può sembrare incredibile ma pure lei fa la cacca.
Bagno vestiti check veloce su internet e di corsa a lezione. Ero in ritardo perché ho dovuto aspettare che lei scegliesse cosa mettersi e con che trucco mimetizzarsi le espressioni. Sono arrivata a lezione con 15 minuti di ritardo, ma la prof non mi ha nemmeno notata entrare in aula. Lei si è seduta accanto a me e mentre io cercavo di prendere appunti lei mi parlava all’orecchio delle sue stronzate, delle sue paranoie e delle sue fisime da adolescente, due palle. Durante la pausa sono andata a mangiare con i miei compagni di corso, è venuta anche lei. Ovviamente non ha rivolto la parola a nessuno. Ma del resto, nessuno l’ha rivolta a lei. Dopo un’altra ora e mezza di lezione siamo tornate a casa. Ci siamo sedute sul divano e assieme abbiamo fissato il vuoto. Anzi, il bianco del muro e assieme, ci siamo chieste come avremmo potuto fare per salvare il mondo. Siccome non siamo riuscite a trovare una risposta nel giro di 5minuti, ci siamo fumate una sigaretta e abbiamo bevuto un’altra spremuta d’arancia. Per fortuna quella sera avevamo allenamento, altrimenti ci saremmo dovute votare a qualche santo che facesse finire la giornata nel più breve tempo possibile e nel più indolore dei modi. Con una piada sullo stomaco siamo salite (di corsa) sul 27 diretto verso l’autostazione.
Ero in anticipo, come sempre, e luomodelkungfuchefagliaddominali ci ha salutate. Ma credo di piacergli di più io. Siccome lei è la regina del girone degli accidiosi, non fa allenamento con me. Mi accompagna in palestra ma mi aspetta fuori e mi guarda dalla porta. Almeno durante quell’ora riesco a togliermela dalle palle.
Solitamente mi accompagna pure dove lavoro, viene con me ma non timbra il cartellino. Mi fa compagnia tra un culo e l’altro ma quando la gente sorride lei fa uno sguardo indispettito e fa finta di non vedere. Davvero, giuro che non la sopporto quando fa così. Anche perché non capisco per quale motivo lei voglia venire con me quando devo andare a lavorare se poi si deve annoiare e lamentarsi. Resta lì a fissarmi mentre lavoro, qualsiasi turno faccia lei insiste per accompagnarmi e io stronza non riesco a dirle di no. Poi mi fa ritardare perché ha sempre qualche cazzata da raccontarmi e io per non farla stare male l’ascolto.
Dicevo.
Dopo allenamento siamo tornate a casa e abbiamo cenato mangiando qualche porcheria che ci è rimasta sullo stomaco e si è agitata come un maiale che si rende conto del suo destino prima di essere macellato.
Doccia. Le ho lavato la schiena e i capelli, dopodiché le ho cosparso il corpo di crema idratante. Non le piace il suo corpo, il seno piccolo e il culo morbido e tondo. Ho provato un sacco di volte a convincerla di non essere poi così cesso, ma non mi crede mai, si mette davanti allo specchio e fa mille facce, controlla pancia e fianchi e si deprime.
Siamo andate di corsa a letto perché eravamo sfinite. Si, nonostante tutto, pure lei sfinita. Vabè.
Volevo leggere qualche pagina prima di addormentarmi ma lei mi voleva parlare. Quando comincia un discorso io…sono come mossa da istinti omicidi dei più truci, vorrei prenderla per il collo e premere quelle vene così forte da farle sputare gli occhi dalle orbite. Non capisce che io non voglio starla a sentire, non mi interessa quello che ha da dirmi perché quello che lei mi vuole a tutti i costi raccontare sono le cose che abbiamo fatto assieme durante la giornata quindi LE SO GIA’, non ho bisogno di farmele ripetere prima di addormentarmi perché sì, è noiosa, ma non mi fa addormentare,lei mi INNERVOSISCE.
Credo che prenderò provvedimenti.
Quando sono venuta a Bologna volevo una camera singola ma dentro ci ho trovato lei. Le devo parlare, le devo spiegare che questa convivenza deve finire entro breve, si deve trovare un’altra sistemazione al più presto. Sono pure disposta ad aiutarla purchè si levi dai coglioni immediatamente.
Comunque credo che capirà, nonostante si sia molto attaccata a me (morbosamente attaccata a me). Sa bene di non stare simpatica ai più. Non è simpatica a me, agli altri inquilini e ai miei amici, lei non va d’accordo con nessuno. Non ha mai nulla di interessante da dire e quando siamo a cena con amici lei non dice una parola, fa parlare sempre me ma a volte mi esaurisco anche io e taccio.
E’ che si è posta male fin dal principio.
Un po’ la compatisco, lo ammetto.
Però in ogni caso è giunta l’ora che se ne vada.
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mercoledì 7 gennaio 2009
io
sto aspettando
che te ne vada
le mie porte sono sempre state aperte
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venerdì 2 gennaio 2009
5 noviembre 2008
De volver a casa, ni hablar. Solo andar, andar mojada, andar bajo la lluvia, andar acabando dentro charcos negros hasta las rodillias. Voy escuchando a un gato que me aconseja llevarle al mar, para enseñ
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martedì 30 dicembre 2008
Avere brutti piedi
Me l'hanno sempre detto tutti, che i miei piedi sono brutti.
Che sono cicciotti e che sono grandi. Che fanno ridere, che sono ridicoli, che sono palmati.
I miei piedi stanno male nelle scarpe, non ci entrano, ci stanno scomodi. Qualsiasi tipo di calzatura è causa di dolori e sofferenze inenarrabili, la mia pianta è troppo larga per potersi adattare alle suole comuni. Mi servono scarpe larghe, scarpe da ginnastica e punte arrotondate. Suole morbide e accoglienti, avvolgenti e accomodanti, altrimenti mi risulta impossibile percorrere la benché minima distanza.
Mia madre ha sempre avuto la sua idea, sulla cosa. Secondo lei avrei dovuto portare scarpe da donna, non per forza quelle con la punta lunga, ma semplicemente scarpe da donna, con la pianta un po' stretta, affusolata e femminile. Così, secondo lei, avrei potuto modellare la forma dei miei piedi e renderli più graziosi.
Io ci ho provato tante volte, ma il numero delle vesciche che mi sono venute su talloni e dita, è direttamente proporzionale alla cifra di denaro che ho letteralmente buttato al vento per acquistare scarpe da donna.
E poi mi son sempre chiesta perché mai mi sarei dovuta torturare costringendo i miei piedini dentro a scarpe scomode e brutte, loro sono fatti così, sono le scarpe che si devono adattare.
Non sono i miei piedi che sono ostili, sono le scarpe che sono stronze.

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