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lunedì 13 dicembre 2010

volare

C'era una domanda che volevo fargli, ma sapevo che l'avrebbe elusa, così aspettai che fosse lui a entrare in argomento. Attesi invano tutto il giorno e alla sera, prima di andarmene, mi feci coraggio: “ho volato veramente Don Juan?”
“E' quello che mi hai detto, no?”
“Lo so, don Juan, ma quello che voglio sapere è se il mio corpo ha volato davvero. Mi sono alzato in volo come un uccello?”
“Mi fai sempre domande alle quali non posso rispondere. Hai volato: la seconda porzione dell'erba del diavolo serve e a quello. Se continuerai a prenderla, perferzionerai la tua tecnica. Non è una questione facile. Tutto quello che ti posso dire è che un uomo vola con l'aiuto della seconda porzione dell'erba del diavolo. Quello che vuoi sapere tu non ha alcun senso. Gli uccelli volano come uccelli e un uomo che ha preso l'erba del diavolo vola così (el enyerbado vuela asì).”
“Come gli uccelli? (¿Asì como los pájaros?)”
No, come un uomo che ha preso l'erba (No, asì como los enyerbados)
Allora non ho volato veramente, don Juan. L'ho fatto con l'immaginazione, con la mente soltanto. Dov'era il mio corpo?”
Nella boscaglia” ribattè tagliente, prima di scoppiare di nuovo a ridere. “Il problema con te è che capisci le cose solo a modo tuo. Non credi che un uomo possa volare, eppure un brujo è capace di percorrere mille miglia in un secondo per vedere quello che succede altrove e colpire i nemici più distanti. Cosa pensi, vola o non vola?”
Vedi, don Juan, io e te abbiamo orientamenti diversi. Immagina, per amore della discussione, che uno dei miei compagni universitari fosse stato con me quando ho preso l'erba del diavolo. Mi avrebbe visto volare?”
Ci risiamo con le tue domande su cosa accadrebbe se...E' inutile fare discorsi del genere. Se il tuo amico, o chiunque altro, prende la seconda porzione dell'erba non può fare altro che volare. Ora, se ti avesse semplicemente guardato, avrebbe potuto vederti volare oppure no. Dipende dall'uomo.
Quello che voglio dire, don Juan, è che se io e te guardiamo un uccello e lo vediamo volare, siamo d'accordo sul fatto che stia volando. Ma se due miei amici mi avessero visto volare nel modo in cui l'ho fatto ieri notte, sarebbero stati d'accordo sul fatto che stessi volando?”
“Forse. Sei sicuro che gli uccelli volano perchè li hai visti. Volare è una cosa normale per gli uccelli, ma potresti non essere d'accordo su altre cose che fanno perchè non li hai mai visti. Se i tuoi amici sapessero che gli uomini sono in grado di volare con l'aiuto dell'erba del diavolo, allora sarebbero d'accordo anche loro.”
Mettiamola in un altro modo, don Juan. Quello che voglio dire è che se fossi stato legato a una roccia con una spessa catena avrei volato ugualmente, perchè non era il mio corpo che stava volando.”
Don Juan mi guardò incredulo. “Se fossi stato legato a una roccia” esclamò “temo che avresti dovuto portartela in volo con la sua spessa catena.”

mercoledì 24 novembre 2010

che cose strane che mi passan per la mente

Domandai al Rebe: "Tu che sai sempre tutto, dimmi che cosa posso pretendere da questa vita, che cosa mi è dovuto, quali sono i miei diritti fondamentali". Immaginai quello che il Rebe mi avrebbe risposto:
"Innanzitutto, dovresti avere il diritto di venire generato da un padre e una madre che si amino, durante un atto sessuale coronato dal reciproco orgasmo, affinchè la tua anima e la tua carne abbiano come radice il piacere. Dovresti avere il diritto di non essere considerato un incidente ne' un peso, bensì un individuo atteso e desiderato con tutta la forza dell'amore, come un frutto che deve dare un senso alla coppia, trasformandola in una famiglia. Dovresti avere il diritto di nascere con il sesso che la natura ti ha dato (E' sbagliato dire 'aspettavamo un maschietto invece è nata una femmina' o viceversa.) Dovresti avere il diritto di essere preso in considerazione fin dal primo mese della tua gestazione. Sempre, in ogni momento, la donna gravida dovrebbe accettare di essere due organismi in via di separazione e non uno solo che si espande. Nessuno può considerarti responsabile degli incidenti che potrebbero intervenire durante il parto. Quello che avviene all'interno dell'utero non è mai colpa tua: per rancore nei confronti della vita, la madre non vuole partorire, e mediante il subconscio ti arrotola il cordone ombelicale attorno al collo e ti espelle non ancora formato, prima del tempo. Non volendoti consegnare al mondo, in quanto sei divenuto un tentacolo pieno di potere, vieni trattenunto più a lungo dei nove mesi, e il liquido amniotico si sarà seccato bruciandoti la pelle; si si fa ruotare fino a che saranno i piedi e non la testa a scivolare verso la vulva, i morti entrano nel loculo così, con i piedi in avanti; ti si fa igrassare più del dovuto così non potrai passare dalla vagina e il parto gioioso verrà sostituito da un freddo cesareo che non è parto ma estirpazione di un tumore. Riufiutandosi di accettare la creazione, la madre non collabora con i tuoi sforzi e chiede l'aiuto di un medico che ti schiaccia il cervello con il forcipe; poichè soffre della nevrosi da fallimento, ti fa nascere semiasfissiato, azzurrino, costringendoti a rappresentare la morte emozionale di chi ti ha generato...Dovresti avere diritto a una profonda collaborazione: la madre de voler partorire tanto quanto il bambino o la bambina vogliono nascere. Lo sforzo sarà reciproco e ben equilibrato. Dal momento in cui tale universo ti produce, è tuo diritto avere un padre protettivo che sia sempre presente durante la tua crescita. Così come a una pianta assetata si dà l'acqua, quando manifesti un interesse hai il diritto che ti venga data la possibilità di realizzarlo, affinchè tu ti possa sviluppare sulla strada che hai scelto. Non sei venuto qui per realizzare il progetto personale degli adulti che ti impongono mete che non sono le tue, la principale felicità che ti offre la vita è consentirti di arrivare a te stesso. Dovresti avere il diritto di possedere uno spazio dove isolarti per costruire il tuo mondo immaginario, per vedere quello che vuoi senza che i tuoi occhi vengano limitati da una moralità effimera, per ascoltare le idee che desideri, anche se sono contrarie a quelle della tua famiglia. Sei venuto qui soltanto per realizzare te stesso, non sei venuto a occupare il posto di un morto, meriti di avere un nome che non sia quello di un parente scomparso prima della tua nascita: quando porti il nome di un defunto, è perchè hanno innestato su di te un destino che non è tuo, rubandoti la tua esistenza. Hail il pieno diritto di non venire paragonato a nessuno, nessun fratello nessuna sorella vale più o meno di te, l'amore esiste quando si riconoscono le differenze fondamentali. Dovresti avere il diritto di venire escluso da ogni litigio familiare, di non venire preso come testimone nelle discussioni, di non essere il ricettacolo dei problemi economici degli adulti, di crescere in un ambiente pervaso di fiducia e sicurezza. Dovresti avere il diritto di venire educato da un padre e una madre che la pensano allo stesso modo, avendo appianato le loro divergenze nell'intimità. Se divorziassero, dovresti avere il diritto di non essere costretto a guardare gli uomini con gli occhi risentiti di una madre ne' le donne con gli occhi risentiti di un padre. Dovresti avere il diritto di non venire sdradicato dal luogo in cui hai i tuoi amici, la tua scuola, i tuoi professori prediletti. Dovresti avere il diritto di non venire criticato se scegli una strada che non rientra nei piani di chi ti ha generato; il diritto di amare chi desideri senza avere il bisogno di un'approvazione; e quando ti sentirai capace di farlo, dovresti avere il diritto di lasciare il nido e andare a vivere la tua vita; di superare i tuoi genitori, di andare più avanti di loro, di realizzare quello che loro non hanno potuto fare, di vivere più a lungo di loro. Infine, dovresti avere il diritto di scegliere il momento della tua morte senza che nessuno ti mantenga in vita contro la tua volontà".


A. Jodorowsky La danza della realtà




mercoledì 25 agosto 2010

lunedì 21 giugno 2010

the middle classes (back to veneto)

The middle classes
are sunless.
They have only two measures:
mankind and money,
they have utterly no reference to the sun.

As soon as you let people be your measure
you are middle-class and essentially non-existent.

Because, if the middle classes had no poorer people to be superior to
they would themselves at once collapse into nullity.
And if they had no upper class either to be inferior to
they wouldn't suddenly become themselves aristocratic,
they'd become nothing.
For their middleness is only an unreality separating two realities.

No sun, no earth,
nothing that trascends the bourgeois middlingness,
the middle classes are more meaningless
than money when the bank is broke


D. H. Lawrence

mercoledì 12 maggio 2010

Già.


- Se ti scrivo una cosa, la leggi con attenzione? E la conservi?
- Sì. Ma certo, - dissi. E l’ho fatto, anche. Ho ancora il foglietto che mi ha dato.
Si avvicinò a quella scrivania dall’altra parte della stanza, e senza nemmeno sedersi scrisse qualcosa su un pezzo di carta. Poi tornò e si sedette con quel foglio in mano. – per quanto sembri strano, questo non l’ha scritto un poeta di mestiere. L’ha scritto uno psicanalista che si chiamava Wilhelm Stekel. Ecco quello che…mi segui ancora?
- Ma sì, certo.
- Ecco quello che ha detto: “ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa”.
[…]
Io credo, - disse, - che uno di questi giorni ti toccherà scoprire dove vuoi andare. E allora devi metterti subito in marcia. Ma immediatamente. Non puoi permetterti di perdere un minuto. Tu no.
Feci di sì con la testa perché lui mi guardava in faccia e via discorrendo, ma non ero troppo sicuro di capire che diavolo avesse in mente. Ero quasi sicuro di saperlo, ma in quel momento non ci avrei giurato. Ero troppo stanco, accidenti.
- E mi dispiace dirtelo, - continuò – ma credo che non appena comincerai a vedere chiaramente dove vuoi andare, il tuo prima impulso sarà di applicarti allo studio. Per forza. Sei uno studioso, che ti piaccia o no. Smani di sapere. E io credo che non appena ti sarai lasciato dietro tutti i professori Vines ei loro temi ora…
- I professori Vinson, - dissi io. Voleva dire tutti i professori Vinson, non tutti i professori Vines. Però non avrei dovuto interromperlo.
- D’accordo, i professori Vinson. Non appena ti sarai lasciato dietro tutti i professori Vinson, allora comincerai ad andare sempre più vicino, se sai volerlo e se sai cercarlo e aspettarlo, a quel genere di conoscenza che sarà cara, molto cara al tuo cuore. Tra l’altro, scoprirai di non essere il primo che il comportamento degli uomini abbia sconcertato, impaurito e perfino nauseato. Non sei affatto solo a questo traguardo, e saperlo ti servirà d’incitamento e di stimolante. Molti, moltissimi uomini si sono sentiti moralmente e spiritualmente turbati come te adesso. Per fortuna, alcuni hanno messo nero su bianco quei loro turbamenti. Imparerai da loro…se vuoi. Proprio come un giorno, se tu avrai qualcosa da dare, altri impareranno da te. E’ una bella intesa di reciprocità. E non è istruzione. E’ storia. E’ poesia -. Si interruppe e mandò giù un bel sorso di cocktail. Poi ricominciò. Ragazzi, era proprio partito in quarta. Meno male che non avevo cercato di fermarlo né niente.
- Non sto cercando di dirti, - proseguì, - che soltanto gli uomini colti e preparati sono in grado di dare al mondo un contributo prezioso. Non è vero. Ma sostengo che gli uomini colti e preparati, se sono intelligenti e creativi, tanto per cominciare, e questo purtroppo succede di rado, tendono a lasciare, del proprio passaggio, segni di gran lunga più preziosi che non gli uomini esclusivamente intelligenti e creativi. Tendono ad esprimersi con più chiarezza, e di solito hanno la passione di seguire i propri pensieri sino in fondo. E, cosa importantissima, nove volte su dieci sono più modesti dei pensatori non preparati. Mi segui, di’?
[…]
- Gli studi accademici ti renderanno un altro servigio. Se li prosegui per parecchio tempo, cominceranno a farti capire che taglia di mente hai. Che cosa le va bene e, forse, che cosa non le va bene. Dopo un poco, comincerai a capire a che specie di pensieri dovrebbe attenersi la tua particolare taglia di mente. Per dirne una, questo può farti risparmiare tutto il tempo che perderesti a provarti idee che non ti si addicono, che non sono adatte a te. Comincerai a riconoscere a conoscere le tue vere misure e a vestire la tua mente attenendoti a quelle.
Allora, tutt’a un tratto, sbadigliai. Razza di bastardo maleducato, ma chi ce la faceva più.
Però il professor Antolini si mise a ridere. – Andiamo, - disse, e si alzò. – Prepariamo il tuo divano.

giovedì 19 novembre 2009

mente materia e qualità

oggi ho finito di leggere un libro molto bello che si chiama "lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta".
quando ho finito di leggerlo ho un po' pianto.
questo libro me l'ha consigliato molto tempo fa martiros, ma non l'ho mai letto, semplicemente per fargli un dispetto.
ho pianto perchè questo libro parla, oltre che della follia di Fedro (che altri non è che il protagonista del viaggio e l'autore stesso), di un lungo viaggio in moto di un padre con il figlio.
potrei fermarmi qui.

mi sento come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato le tempie. non so,sarà che mi faccio commuovere e coinvolgere da tutto in questo periodo, però quasi tutti i temi affrontati in questo libro sono argomenti che da un po' di tempo anche io ho dovuto mettere in discussione.
per esempio, la follia. il disadattamento, la scissione, la percezione distorta o tremendamente lucida della realtà. io credo di essere pazza. sì lo credo. credo che lo sia mio papà. credo che lo sia diventata mia mamma e soprattutto credo che siano tutti pazzi quelli che mi stanno attorno.
ci ho messo più o meno un anno a rendermi conto della mia follia. quando mi sono resa conto che avrebbe inevitabilmente fatto parte di me per sempre, mi sono commossa e mi sono vista da fuori quasi con tenerezza. ero quasi contenta.
ora come ora la follia che più mi preoccupa è quella di mia madre, che è sopraggiunta. dico questo perchè bene o male con la pazzia di mio padre ci abbiamo sempre convissuto.
ora mia mamma forse è matta, non lo sappiamo ancora. non parla, ha problemi di memoria e vuole fare cose che non sempre hanno senso. per esempio domenica ha voluto prendere due bustine di tè e se le è messe nella tasca della giacca a vento prima di tornare in ospedale. mah.
mi fa male pensare che forse dovrò convivere per sempre con la follia di mia madre. è sempre stata l'unico punto fermo della mia vita. so che è una considerazione banale, ma quando si giunge al punto di considerare sè stessi e tutte le persone che ci circodano dei pazzi, almeno l'idea di poter contare su un paio di persone quasi sane di mente, tra cui la mamma, è un' ancora di salvezza.
ora non ho più neppure quella certezza.
ho paura, e scioccamente il mio timore più grande è ora quello di diventare mamma senza la mia mamma. non è un progetto imminente, ma credo che prima o poi succederà, e quando non saprò a chi chiedere come fare a far star zitto un poppante che strilla avrò paura. sì, avrò paura di commettere una pazzia, perchè sono pazza e lo sarò per sempre.
questo libro poi, ovviamente, parla della motocicletta e del viaggio in moto. parla di un viaggio in moto tra un papà e un figlio.
anche io ho fatto un viaggio in moto con mio papà, quando avevo 13 anni. credo sia più o meno l'età del figlio del protagonista, non è specificato nel testo oppure non me lo ricordo.
siamo andati a salisburgo, che si diceva fosse la seconda patria della laverda e credevamo che gli abitanti di salisburgo (salisburghesi?) ci avrebbero riservato un trattamento specialissimo. e invece niente. durante questo viaggio ci hanno accompagnato i miei zii, che sono stati indubbiamente un elemento di disturbo. più o meno come lo sono i sutherland nel libro.
andare via in moto assieme è sempre stata l'unica attività che ci facesse interagire in maniera serena. ed io ho anche sempre saputo perchè: in moto non si parla.
la richiesta di un giro in moto e l'accettazione o meno da parte di mio papà è sempre stata la cartina di tornasole del nostro rapporto: se mi avesse risposto di sì, voleva dire che in quel periodo si andava d'accordo e lo si sarebbe andato ancora per un bel po', perchè i viaggi in moto sono sempre stati terapeutici per entrambi, come individui e come parenti. se mi rispondeva di no, poteva essere per tre motivi:

a)era davvero molto stanco
b)la moto non funzionava
c)era incazzato con me

l'opzione c ovviamente mi mandava in bestia, ma questo è niente. la mia collera raggiungeva livelli inenarrabili in una sola circostanza: mio papà andava in giro in moto senza di me. ecco, questa era una punizione per qualcosa che avevo fatto. ma non si trattava di una punizione per una stronzata tipo tornare a casa tardi. no, era qualcosa di più profondo, qualcosa che lo feriva nell'anima ma di cui non poteva parlare, per quieto vivere (che poi quieto vivere...), per convenzione, per non so che cazzo di motivo. questo succedeva per esempio quando avevo il moroso. succedeva spesso. non succedeva spesso che avessi il moroso, ma succedeva sovente quando ce l'ho avuto per più o meno due anni.
adesso invece succede perchè non abito più a casa, perchè ho fatto dei lavori che non gli sono piaciuti e perchè sono in ritardo con gli studi. il fatto è che lo fa in maniera subdola!
per esempio, quando lavoravo in struttura avevo i turni e non riuscivo a tornare a casa tutti i fine settimana. quando però tornavo sabato e domenica molto spesso non uscivo la sera, apposta per stare con i miei. ci tengo a sottolineare questo fatto per rendere ben chiara la mia intenzione di tornare dall'altro lato del po proprio per stare con i miei. bene, è successo parecchie volte che io mi svegliassi la domenica mattina e sentissi il borbottare della laverda che tornava da un giro. il rombo della moto di mio papà si sente fin da quando è in centro al paese. con la testa sul cuscino pensavo "no, ancora no, non può averlo fatto di nuovo". allora tendevo l'orecchio, sentivo la catena del cortile dietro al palazzo dove vivo cadere per terra, e poi sentivo gli ultimi 20, 25 "toh toh toh toh" tipici del motore tricilindrico, prima che mio papà la spegnesse,non in garage,ovviamente,ma sotto la mia finestra, cosicchè sarebbe stata la prima cosa che avrei visto quando avessi aperto la finestra.
durante il pranzo si scatenava il dramma, ma il più delle volte potevo contare sull'appoggio sia di mia mamma che di mio fratello. non ha mai dichiarato il motivo del perchè mi riservasse quegli sfregi, si limitava a giustificarsi con risposte vaghe del tipo "ma sono obbligato a portarti via sempre?" oppure "basta, non è più il caso" o anche "è che adesso ho paura". stronzate.
una volta mio papà la voleva vendere a un tipo assurdo di forlì che colleziona laverda. è un tipo fuori di testa che abbiamo spesso incontrato ai motoraduni.
il giorno prima che il tipo venisse a prendersela ha dovuto chiamarlo per disdire la vendita. avevo smesso di mangiare e piangevo a dirotto da un giorno intero.
poi una volta ho dovuto scrivere a motosprint per convincerlo a portarmi via con lui ogni tanto. siccome ho ricevuto centinaia di mail di personaggi che si proponevano come morosi per portarmi via con loro, mio papà ha fatto il duro per un po' ma poi ha ceduto
non so se si sia tenuto quella copia come ricordo.
ora mio papà non la usa più tanto. dice che è diventata pesante (sarà ingrassata) e che fa fatica a portarla.
poi adesso figuriamoci, è in lutto, e proprio oggi che l'ha voluta usare per andare a venezia ha trovato lo sciopero dei metalmeccanici sul ponte della libertà e l'ha dovuta spingere per tutto il ponte perchè non lo lasciavano passare.

nell'ultima parte del libro, padre e figlio protagonisti hanno l'ennesimo diverbio per un motivo che non esiste apparentemente.
quando finalmente i due si chiariscono una volta per tutte e sembra essere tornata la calma, si rimettono in viaggio, senza casco perchè fa molto caldo. il ragazzino si sente sicuro di sè e si alza in piedi sui pedalini, così riesce a vedere oltre le spalle di suo papà. fino a quel punto, lui non aveva visto niente altro che la schiena di suo padre che guidava, limitandosi a lanciare qualche sguardo ogni tanto, a destra e a sinistra e manifestando sempre poco entusiasmo per le cose che lui gli indicava di guardare.
poi il ragazzino inizia a pretendere di vedere oltre, di vedere di più,e di questo se ne rende conto anche suo papà.
ecco, questa è una cosa che rimpiango di non aver fatto mai. quando siamo andati a salisburgo forse ero troppo piccola per farlo, ma forse no. non ho mai avuto il coraggio di alzarmi in piedi di vedere le cose dalla prospettiva del pilota. ho sempre preferito stare chiusa dentro al casco a pensare, a guardare il riflesso del mio naso sulla visiera e al limite, guardare a destra e a sinistra.
non credo sia troppo tardi per farlo, anche se in moto con mio papà non ci vado da un bel po', ma ho capito che devo farlo e lo sto facendo.
ecco,forse è per quello che mio papà non mi porta più via con lui.


poi, un altro dei tanti argomenti trattati nel libro, è quello della chiesa della ragione. ossia, l'università.
adesso è tardi e devo andare a leggere la postfazione del libro che non ho ancora letto, però ci tenevo a dire che la concezione di università mia e di fedro (l'alter ego impazzito del protagonista) è praticamente indentica. e questo brano è una delle dimostrazioni di ciò:

la chiesa della ragione, come tutte le istituzioni del sistema, non è basata sulla forza del singolo quanto sulla sua debolezza. solo agli incapaci si può insegnare bene. gli altri sono sempre una minaccia. ma per fedro la qualità la si vede meglio sulle montagne, là oltre il limite dei boschi, e non qui, dove le finestre sporche e gli oceani di parole la offuscano. si rende conto che qui questo non verrà mai accettato: per capirlo bisogna essere liberi dall'autorità, e questa è un'istituzione autoritaria. per le pecore la qualità è quello che dice il pastore, e se una notte col vento che infuria, ne lasci una oltre il limite dei boschi lei si spaventerà a morte e belerà e belerà finchè non arriverà il pastore, o il lupo.
alla lezione successiva fedro tenta per l'ultima volta di comportarsi bene, ma il direttore non ne vuol sapere. fedro gli chiede di spiegargli un particolare, dicendo che non è riuscito a capirlo, non è vero, ma fedro pensa che un po' di deferenza non guasta.
la risposta è: "forse lei è stanco"", detta col tono più mordace possibile - ma non morde. il direttore sta semplicemente condannano in fedro ciò che più teme in se stesso. la lezione prosegue e fedro guarda fuori dalla finestra; gli dispiace per questo vecchio pastore e per le pecore e i cani del suo corso, e gli dispiace per se stesso: non sarà mai uno di loro. quando suona la campanella esce per l'ultima volta.



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martedì 10 novembre 2009

Quella sera scrisse la lezione sulla Chiesa della Ragione, che a differenza dei suoi soliti appunti sbrigativi era molto lunga e sviluppata con grande cura.
Citava, per cominciare, l'articolo di un giornale a proposito della facciata di una chiesa di campagna cui era stata affissa l'insegna luminosa di una marca di birra. L'edificio era stato venduto ed era stato trasformato in un bar. Qualcuno si era lamentato con le autorità ecclesiastiche, e il prete incaricato di rispondere alle critiche si era mostrato piuttosto irritato. Ai suoi occhi, l'episodio rivelava quanto fosse grande l'ignoranza a proposito di cosa fosse veramente una chiesa. S'immaginavano forse i fedeli che una chiesa consistesse in assi, mattoni e vetrate? Sotto le spoglie della devozione si celava qui un esempio di quel materialismo che la Chiesa combatte tanto. L'edificio era stato sconsacrato e quindi il problema non sussisteva.
Fedro disse che la stessa confusione esisteva a proposito dell' Università. L'Università vera non è un oggetto materiale. Non è un insieme di edifici che può essere difeso dalla polizia. Fedro spiegò che quando un College perde il riconoscimento accademico nessuno viene a chiudere la scuola, non ci sono sanzioni legali ne' multe, ne' condanne. Le lezioni non s'interrompono. Tutto continua esattamente come prima. La vera Università si limiterebbe a dichiarare che questo posto non è più "consacrato". La vera Università svanirebbe da quel luogo, lasciandosi dietro soltanto libri e mattoni: la sua mera manifestazione materiale.
Questi concetti dovettero risultare piuttosto strani agli studenti, e immagino che Fedro abbia dovuto aspettare a lungo che le sue idee facessero presa, per poi dover aspettare ancora prima che gli chiedessero: "Cosa pensa che sia la vera Università?".
I suoi appunti rispondono alla domanda così:

La vera Università non ha un'ubicazione specifica. Non ha possedimenti, non paga stipendi e non riceve contributi materiali. La vera Università è una condizione mentale. E' quella grande eredità del pensiero razionale che ci è stata tramandata attraverso i secoli e che non esiste in alcun luogo specifico; viene rinnovata attraverso i secoli da un corpo di adepti tradizionalmente insigniti del titolo di professori, ma nemmeno questo titolo di fa parte della vera Università. Essa è il corpo della ragione stessa che si perpetua.
Oltre a questa condizine mentale, la "ragione", c'è un'entità legale che disgraziatamente porta lo stesso nome ma è tutt'altra cosa. Si tratta di una società che non ha scopi di lucro, di un ente statale con un indirizzo specifico che ha dei possedimenti, paga stipendi, riceve contributi materiali e di conseguenza può subire pressioni dall'esterno.
(...)
La gente che non riesce a vedere questa differenza, disse Fedro, e crede che il controllo degli edifici della Chiesa implichi il controllo della Chiesa stessa, considera i professori semplici impiegati della seconda Università, che dovrebbero rinunciare alla ragione a comando e ricevere ordini senza discuterli, come fanno gli impiegati delle altre aziende.
(...)
Il fine ultimo della Chiesa della Ragione, disse Fedro, è rimasto quello socratico della verità nelle sue forme eternamente mutevoli, una verità che ci viene rivelata dai processi razionali. Tutto il resto è subordinato a questa ricerca. Normalmente questo fine non è in conflitto con quello che si propone la sede legale dell'Università, e cioè di migliorare lo spirito civico, ma talvolta sorgono dei conflitti (...)
E il conflitto sorge quando amministratori e legislatori che hanno dedicato tempo e denaro alla sede dell' Università maturano convizioni opposte a quelle espresse dai professori. Allora possono far pressione sull'amministrazione, e minacciare il taglio dei fondi.

IL FINE ULTIMO DEI PROFESSORI, PERO', NON E' MAI QUELLO DI SERVIRE PRIORITARIAMENTE LA COMUNITA', MA DI METTERE LA RAGIONE AL SERVIZIO DELLA VERITA'.

Robert M. Pirsig: Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, pagg 149 151, Adelphi 2009


domenica 1 novembre 2009

Il rosso il nero e il marrone

- Chi siete voi, conte. Non è questo il pensiero, e, meglio, il pensiero che cospira?

- Sono qui per il mio nome. Ma nelle vostre sale il pensiero è odiato. Bisogna ch'esso non si levi più su del ritornello d'una strofa d'operetta: allora lo si ricompensa. Ma l'uomo che pensa, se ha dell'energia e delle novità nelle sue trovate, lo chiamate cinico. Non è l'epiteto che uno dei vostri giudici ha dato a Courier? L'avete messo in prigione, come come Béranger. Tutto ciò ha qualche valore spirituale, in *****a la congregazione lo getta alla polizia correzionale, e la buona società batte le mani. Perchè la vostra società invecchiata pregia soprattutto le convenienze...Voi non v'innalzerete mai più su del coraggio militare: avrete dei Murat, mai dei Washington. Non vedo in *****a altro che vanità. Uno che abbia un po' d'inventiva discorrendo, esce facilmente in qualche cosa di audace, e il padrone di casa si sente disonorato.




Stendhal, Il rosso e il nero, cap. Il ballo

venerdì 16 ottobre 2009

e inoltre

Dicono i Veda: "tutte le facoltà intellettive al mattino si risvegliano". La poesia e l'arte e le più belle e memorabili azioni umane datano da quell'ora. Come Memnone, tutti i poeti e gli eroi sono figli dell'Aurora ed emanano la loro musica al sorgere del sole. Per colui i cui agili e vigorosi pensieri seguono il passo del sole, il giorno è un eterno mattino. Non importa a che ora possa segnare l'orologio o possano indicare le fatiche o i gesti degli uomini. Per me è mattina quando mi sveglio, e allora l'alba è in me. Le riforme morali sono tentativi di scuoterci il sonno di dosso. Per quale ragione mai danno gli uomini un resoconto così misero delle loro giornate, se non perchè sono stati assopiti? Non è che non sappiano valutare. Se non si fossero fatti vincere dal sonno, avrebbero certo compiuto qualcosa di buono. Milioni di uomini sono abbastanza svegli per un lavoro intellettuale, e solo uno su cento milioni per una vita poetica e divina. Essere svegli significa essere vivi. Io non ho ancora incontrato un uomo che fosse completamente sveglio. Come avrei potuto guardarlo in viso?






Andai nei boschi perchè desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ambio e raso terra e mettere poi tutta la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; se si fosse rivelata meschina, volevo trarne tutta la genuina meschinità, e mostrarne al mondo la bassezza; se invece fosse apparsa sublime, volevo conoscerla con l'esperienza, e poterne dare un vero ragguaglio nella mia prossima digressione.



pagg 152 153, Walden, Henry Thoreau



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giovedì 21 maggio 2009

consapevolezza? mah. la sua, saggezza

trovo salutare restare solo per la maggior parte del tempo. essere in compagnia, anche dei migliori, provoca subito noia e dispersioni. amo restare solo. non trovai mai un compagno che fosse tanto buon compagno della solitudine. per la maggior parte, noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. un uomo che pensi o lavori è sempre solo - lasciatelo stare dove vuole. la solitudine non è misurata dalle miglia di distanza che si frappongono fra un uomo e il suo prossimo. lo studente realmente studioso è un solitario, in uno degli affollati alveari di harvard, come derviscio nel deserto. il contadino può lavorare da solo per tutto il giorno, nel campo o nel bosco, zappando o tagliando legna, e non sentirsi tale perchè ha qualcosa da fare; ma a sera, quando torna a casa, non può sedersi da solo in una stanza, alla mercè dei suoi pensieri, ma deve stare dove può "vedere gente", e svagarsi - come s'immagina - remunerare sè stesso per la sua solitudine giornaliera; pertanto, egli si meraviglia come mai lo studente di giorno possa sedere, solo, in casa, per tutta la notte e gran parte del giorno, senza noia e pensieri neri; non capisce che lo studente, sebbene in casa, sta ancora lavorando il suo campo e sta tagliando nel suo bosco, come il contadino, e che a sua volta cerca lo stesso divertimento di quest'ultimo, sebbene, magari, in una forma più condensata.
di solito la compagnia è troppo da poco. c'incontriamo a intervalli molto brevi, non avendo avuto il tempo di acquisire qualsiasi nuovo valore reciproco. c'incontriamo ai pasti tre volte al giorno, e reciprocamente offriamo un nuovo assaggio di quel vecchio formaggio ammuffito che siamo. abbiamo dovuto metterci d'accordo su una certa serie di regole, chiamate gentilezza ed etichetta, per rendere tollerabile questo frequente incontro, e così che non sia necessario venire ai ferri corti. c'incontriamo all'ufficio postale, alle riunioni, e presso il fuoco, ogni notte; viviamo l'uno troppo appresso all'altro e ci intralciamo a vicenda, inciampiamo l'uno sopra l'altro, e credo che così perdiamo un certo mutuo rispetto. certamente, per tutte le comunicazioni importanti e cordiali basterebbe meno frequenza. pensate alle ragazze della fabbrica - mai sole, e tali appena appena nei loro sogni. sarebbe meglio se ci fosse un solo abitante per miglio quadrato, come dove io vivo.
il valore di un uomo non è nella sua pelle, così non occorre toccarlo.


pag 201 - 202, Walden, E. Thoreau

domenica 19 aprile 2009

Un bostezo y una meta

1, 2, 3, 4, 5, y regreso, 1, 2, 3, 4, 5, y sigo Segundo a segundo desnudándote en mis recuerdos, sintiéndote con mis sentidos, amándote.
Cada vez que paso sobre el túnel de mis recuerdos me ago una parada y visito mi destino que pasado y presente se hizo por no construir bien el camino.
Me adentro y un eco ensordecedor taladra hasta el fondo de mi y me doy cuenta que la respuesta existe que las metas están marcadas que los sueños se alcanzan y otra vez me pongo en Lina de salida y un bostezo me dispersa caigo al suelo y recuerdo que esto ya es vivido, reflexiono y concluyo que el único motivo es la faltas de fuerzas y pienso ¿que paso? ¿Donde estuvo la carencia?, ¿quien se metió dentro y desvalijo hasta mi corteza? y siguen pasando los segundos y no hay sorpresa, solo un bostezo y una meta.

Titàn


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